Alla domanda secca, "Si può suonare oggi in Italia?", cosa rispondereste?
La domanda in se nasconde un tranello che rispecchia tutta la situazione schizofrenica del musicista professionista nel nostro Paese in questa fase che, lo speriamo, ci porterà alla fine della pandemia. L'insidia risiede tutta nel verbo "potere", perchè se da un lato "si può" suonare perchè è legale e permesso rispettando certe regole, dall'altro "non si può" nella pratica, poichè queste regole rendono impraticabile, insostenibile o sconveniente organizzare la maggior parte degli eventi live.
Per tutti coloro che stanno obiettando che gli eventi live sono già ripartiti, bisogna fare una semplice distinzione. Al momento ci sono solo poche nicchie di eventi musicali live che si "riescono" ad organizzare:
- feste private e matrimoni - in cui i controlli sono praticamente assenti ed il numero di partecipanti è solitamente ridotto, con tutti i rischi del caso per chi cerca di viaggiare al limite della legalità;
- piccoli eventi live all'aperto - locali o attività commerciali che ingaggiano piccole formazioni (2,3 elementi solitamente) per allietare la clientela;
- eventi con sovvenzione pubblica in perdita - l'ente pubblico può permettersi di organizzare eventi sconvenienti dal punto di vista economico, che possono ospitare un numero limitato di persone distanziate, per rianimare l'atmosfera delle città e favorire il turismo nazionale.
Come potrete immaginare la prima categoria ha subito un importante ridimensionamento poichè l'incertezza e le norme da rispettare hanno fatto si che buona parte di questi eventi privati sia stata riprogrammata da settembre-ottobre in poi.
La seconda categoria è una piccola scialuppa di salvataggio per i musicisti che fanno live, soprattutto in acustico, ma solitamente paga poco ed i locali ora come ora non sono disposti a rischiare nemmeno ingaggi decenti, visto il calo di clientela. Non dimentichiamo che questo tipo di eventi non impiegano praticamente mai il personale tecnico, che è una parte molto importante della forza lavoro del settore spettacolo.
La terza categoria sarebbe in teoria quella che potrebbe/dovrebbe sostenere il settore, più o meno come si sta facendo con il turismo per cui sono stati stanziati circa 2,4 miliardi di euro per la ripartenza. In teoria poichè solo chi ha le spalle larghe ed una certa esperienza di eventi ha di fatto deciso di prendersi la responsabilità di organizzare questi eventi. Buona parte dei comuni e delle amministrazioni invece ha messo il coraggio nel cassetto per paura di ricadute personali, elettorali o opacità del sistema di controllo/verifica.
C'è poi tutto il grande settore dell'industria dell'intrattenimento privato, che ha subito una flessione di oltre il 70% da inizio anno. Le limitazioni attuali:
- massimo 200 spettatori al chiuso;
- massimo 1000 spettatori all'aperto;
- controlli sanitari e di tracciamento aggiuntivi;
- impossibilità di vendita di cibo e bevande;
- distanziamento sociale tra i presenti.
Queste limitazioni rendono di fatto impossibile alla maggior parte degli organizzatori, promoter e gestori di locali realizzare eventi di musica live, se non addirittura aprire i battenti. Spese troppo alte, ricavi previsti troppo bassi e responsabilità poco chiare ma potenzialmente pesanti a livello personale e dell'attività stessa.
Ricordiamo giusto qualche dato sui numeri che questo settore porta al nostro Paese, per capire che non si tratta di un vezzo o di un hobby, ma di una parte importante e vitale della nostra economia. Assomusica, l’associazione degli organizzatori e dei produttori di spettacoli di musica dal vivo, conta oltre 120 aziende che fatturano circa l'80% del totale sui concerti. L'Italia, nonostante un certo distacco dalle prime, risulta essere il 6° mercato al mondo per la musica live, con oltre 589 milioni di euro, senza contare tutto l'indotto diretto ed indiretto in cui potremmo metterci anche il nostro settore degli strumenti musicali. Nel settore sono impiegati 1100 operatori e tecnici ma il totale dei lavoratori dello spettacolo dovrebbe ammontare a circa 400 mila persone.
Nel 2019 il 59% della popolazione italiana aveva assistito ad almeno un concerto, con una spesa media di 36€ a biglietto. Anche coloro che assistono a concerti gratuiti, circa il 15% del totale, spende poi una media di 38€ a testa sul territorio, generando un indotto considerevole per le città e comuni.
L'evidenza ci dice, ed è per questo che il pubblico in questo momento dovrebbe intervenire pesantemente nell'organizzazione di eventi, che per ogni euro speso per i biglietti di un concerto ogni spettatore spende 1,2€ in beni e servizi sul territorio. Un effetto moltiplicatore che in questo momento invece manca quasi del tutto alla nostra economia.
Se mettiamo assieme i 590 milioni di euro di entrate del settore live, i circa 708 milioni calcolati di indotto, e aggiungiamo i circa 300 milioni del mondo degli strumenti musicali e il fatturato delle aziende produttrici di materiale tecnico per lo spettacolo di cui l'Italia è particolarmente ricca, vediamo che si raggiungono facilmente i 2 miliardi di euro. Una cifra calcolata velocemente che però ci da l'ordine di grandezza reale di questo settore ed il rischio effettivo che il nostro Paese sta correndo nel lasciarlo indietro, come se fosse una perdita accettabile.