Non c’è al mondo alcun synth che abbia una tale aurea di leggenda e sia stato amato, vissuto e suonato come il Moog Minimoog.
JoE Silva esplora l’universo Minimoog in quasi 400 pagine di pura passione.
Se nel 2024 abbiamo ancora fame di conoscenza e di aneddoti sul Minimoog, qualcosa vorrà pur dire. Il Mini ha cristallizzato il concetto di sintetizzatore per i musicisti, quando ancora non esisteva questa idea, e il suono elettronico era un ambito di ricerca e università.
JoE Silva, e l’editore BJooks Publishing, portano sulla nostra scrivania un testo destinato a durare per sempre, come pochi altri libri dedicati all’argomento. In tempi di compilazione automatica di libri e immagini da vendere su Amazon, il lavoro dell’autore è monumentale per qualità, poliedricità e quantità di in formazioni.
Non esiste un indice preciso degli argomenti o, meglio, esiste ma la struttura dei capitoli è un percorso continuo tra tecnologia, immagini di repertorio, 37 sound chart che riproducono i suoni di decine di artisti creati appositamente da Anthony Marinelli, dai più iconici del passato a quello dei giorni nostri. Il viaggio tra gli argomenti necessita di sfogliare ogni pagina, oppure cercare un particolare nell’indice.
The Minimoog Book salta in continuazione tra un argomento tecnico, una intervista, una brochure dell’epoca e intere gallerie di Minoog famosissimi (Herb Deutsch, Tom Rhea, Keith Emerson, David Bowie, Rik Wakeman, Bernie Worrell, Tom Coppola, Gene Stopp, Patrick Moraz). A volte sono interviste più complesse, altre si limitano a due pagine fitte fitte di aneddoti dell’artista con il suo Minimoog. Di quali artisti stiamo parlando? Date un’occhiata all’immagine qua sotto e troverete non solo la risposta, ma anche uno dei motivi di acquisto per questo libro.
Naturalmente non si poteva non partire con le fondamenta dell’architettura del suono come inteso da Bob Moog, con una descrizione storica del percorso di Bob e dei suoi prodotti nei primi anni di lavoro, approdando al primo Model A e una intervista a Steve Drews e David Borden. Da qui si passa al Model B del 1970, e al primo report intitolato Design Considerations For First Model of The Mini Moog, conservato dalla figlia Michelle, che comprende anche la previsione dei costi e del marketing, i primi draft del layout del pannello di controllo, per finire al Model C, che già appariva come uno strumento fantascientifico. E’ il momento di introdurre Jim Scott, che fu uno dei più importanti progettisti del Minimoog Model D. Jim esplora la storia dietro al Model D, i problemi di produzione iniziale, le scelte anche fortuite e il ruolo della serendipità , modificando i circuiti originali del VCA e del VCF.
Nasce dunque il Model D, numero di serie 1001, la cui curiosa storia è ampiamente narrata e descritta: ora si trova in Austria, all’Eboardmuseum con circa 2.000 strumenti! E’ l’inizio di una storia che dura ancora oggi a distanzaDesign Considerations For First Model of The Mini Moog di più di mezzo secolo. E dove c’è analogico, c’è anche customizzazione, con tutta una serie di modelli che si incontrano lungo il libro e ben descritti (peccato che non ci siano gli schemi!). L’introduzione al pubblico del Mini è dovuta anche al lavoro di David Van Koevering, che fu per l’epoca un evangelista del Mini, e di Jon Bowen che fu fondamentale per far comprendere cosa fosse un Minimoog. Nei primi anni ’70 non c’era nulla di simile, e andava spiegato ai negozianti e ai musicisti. Non furono tempi facili, ma il dado era tratto. Qui l’autore si ferma e apre alla parte tecnologica del Mini: lungo il testo, sono disseminate una serie di sound chart che sono ampiamente spiegate in fase iniziale, dove l’autore espone come il Minimoog produce il suono, accanto a una serie di eccellenti fotografie dei circuiti del Mini, riportando anche le diverse versioni dei componenti lungo gli anni, in particolare per la scheda degli oscillatori. Incontriamo subito dopo Anthony Marinelli che definisce il suo percorso di sound design con il Mini. Da qui in poi è una festa unica dedicata al Mini, con le interviste, le brochure, le pagine di pubblicità sulle riviste specializzate (bei tempi andati…), con una connotazione più musicale che tecnica. Ciò che impressiona, è quanto il Minimoog sia stato vissuto personalmente, visceralmente, come una estensione diretta del talento musicale di chi suona. Tra customizzazioni, adesivi, firme, legni sfregiati, badge differenti del logo Moog e legnami, ogni Mini rappresenta il suo musicista, quasi come una chitarra.
E poi arrivò uno stop pesantissimo: nel 1981 sono prodotte le ultime 25 unità di Minimoog, dopo un periodo molto difficoltoso dove Moog fu acquistata da Norlin. L’anno dopo arrivò il DX7 e ci fu lo switch al digitale. Sembra tutto finito così, nel niente. Eppure ci sono ancora tastieristi e produttori che continuano a usare il Mini, lo affittano, ci suonano sopra. E non sono sconosciuti: Ultravox, Anthony Marinelli (vedi Thriller), Thomas Dolby, Abba, Geoff Downes (Buggles, Yes, Asia), Steve Porcaro (tutti intervistati) continuano a lavorare anche con il Mini, che non smette di essere presente su grandissime produzioni.
Passano quasi vent’anni e di Mini non se ne sente parlare. Bob Moog ha fondato Big Briar, producendo prima un Theremin e poi una serie di pedali ma, di questa storia, lasciamo che siano i lettori a scoprirlo sul libro. In diverse pagine, l’autore ripercorre tutti i passaggi, sia finanziari che progettuali, dedicati alla nascita di un nuovo Minimoog, che vide nel 2001 la nascita del primo prototipo del Voyager, che fu in parte rielaborato nella grafica da Axel Hartmann, il quale incontrò Bob Moog al Winter Namm dove presentava il suo Neuron (sì, una volta c’erano le fiere dove nascevano accordi, idee e collaborazioni inaspettate… altri tempi).
Da qui il libro apre al Voyager, inteso come Minimoog per il 21 secolo, con spiegazioni tecniche, il firmware studiato da Rudi Linhard (avete detto Memorymoog?) e gli artisti che ne hanno fatto uno strumento da battaglia. Il Voyager è stato un synth con diversi design durante gli anni di produzione, e qui ci sono tutti. Nel 2008 viene presentato Voyager Old School e il successivo XL. Ci sono anche pagine dedicate all’App Model D e alla sua progettazione, per arrivare di nuovo al Model D reissue con l’annuncio del 2016 e la chiusura della linea del Model D giusto l’anno dopo!
Come un’araba fenice, il Model D tornò di nuovo in produzione nel 2022, con una grande fatica per rintracciare tutti i componenti elettronici che, in questi anni, sono ormai desueti per l’uso massiccio dei componenti SMD (auguri a sostituirli!). Il Model D è ancora oggi in produzione, mantenendo il suono dell’originale e aggiungendo un minimo di interfaccia MIDI, un LFO dedicato, uscite CV per velocity e aftertouch grazie alla nuova tastiera Fatar.
Complessivamente, The Minimoog Book rimarrà una pietra miliare nei testi dedicati ai sintetizzatori. E' sufficientemente tecnico, ma non incomprensibile, per chi conosce un po' di synth, e molto facile da leggere per chi ama gli artisti citati. Da nerd come siamo, avremmo voluto leggere più approfondimenti sulle modifiche e su alcuni aspetti di progetto del Minimoog, ma poi sarebbe diventato troppo tecnico. Il prezzo è forse un po' troppo alto, ma la qualità delle immagini, la ricerca dei contenuti esclusivi e l'investimento di tempo giustifica il costo. Un approfondimento così ben fatto merita il nostro plauso!
The Minimoog Book racchiude tutto il mondo del Minimoog dalle sue origini a oggi, testimonianza indelebile di quanto Bob Moog ci avesse visto giusto, soprattutto quando si parla di suono. Per noi, il Mini rimarrà sempre la pietra angolare di tutti i synth e, se ancora non lo avete provato di persona, il nostro invito è di metterci su le mani. Che ne abbiate uno o meno, non c'è scusa per non avere questo testo nella propria biblioteca personale.
Il perfetto regalo di Natale!
Info
Bjooks
Prezzo: € 75
Leggi la nostra recensione del libro sulla storia del marchio Roland, sempre per Bjooks libri: