Anche se conosciamo quasi tutto sui primi modelli commerciali di compressori, ad oggi è ancora difficile attribuire a qualcuno l’invenzione di questo fondamentale componente per il trattamento dell'audio. Il concetto di compressione di segnale viene introdotto nei primi anni della radiofonia, e non esiste un contributo unico, ma molti piccoli step che hanno portato progressivamente poi alla realizzazione dei primi veri compressori. Genericamente possiamo attribuire agli scienziati tedeschi di inizio '900 l'idea di comprimere in ampiezza i segnali per le trasmissioni radio militari così da evitare una distorsione eccessiva del segnale in ricezione.
Nei primi anni ’30 Telefunken realizza il primo vero compressore valvolare ad utilizzo audio, l’U3, impiegato per prima volta nei Giochi Olimpici di Berlino 1936. Ne furono prodotte solo poche unità appositamente realizzate e pare che nessuna di queste sia arrivata fino ad oggi. Il compressore via via fu necessario per proteggere gli altoparlanti delle radio dai picchi di volume ed avere un ascolto sempre gradevole.
Uno dei compressori più famosi della storia della musica è l’U73 di TAB Telefunken, uscito negli anni '50 e prodotto fino agli anni ’80. Molto usato nel broadcast radio, è stato utilizzato poi in modo massiccio nel mastering del vinile. In Europa tra il 1960 e il 1980 quasi ogni vinile messo in commercio è stato trattato con una coppia di questi famosi compressori/limiter.
Un altro modello da conoscere assolutamente a cui si rifanno moltissimi moduli di compressione e pedali è sicuramente il Fairchild 670, probabilmente il più famoso compressore di tutti i tempi. Costruito con 20 valvole, 14 trasformatori e dal peso non trascurabile di ben 30 Kg nelle sue prime versioni, le unità originali e funzionanti di questo compressore oggi valgono decine di migliaia di euro.
IN POCHE PAROLE, COSA FA UN COMPRESSORE
La compressione è il controllo automatico del livello del segnale audio per il trattamento della dinamica. Diciamo che, se fosse possibile essere talmente rapidi da regolare la nostra manopola del volume alzando ed abbassando il suono in tempo reale per sentire meglio ogni dettaglio, ci comporteremmo più o meno come un compressore.
Nella realtà il compressore reagisce ad un certo ‘volume’ del segnale audio in ingresso e dice al circuito in uscita di far corrispondere a questo valore un certo ‘volume’ in uscita, secondo un rapporto chiamato "ratio". Questo però accade solo quando il segnale supera una certa soglia di ‘volume’, chiamata "threshold" che possiamo impostare o trovare prefissata nel nostro compressore.
La compressione può avvenire sia riducendo i picchi massimi di un segnale, che aumentando i suoni più deboli. La compressione verso il basso serve per limitare i picchi ed evitare la distorsione del segnale, la compressione verso l’alto rende più comprensibile il segnale amplificandone delle parti. Quindi schiacciamo il segnale in ampiezza diminuendone la gamma dinamica, da cui il termine ‘compressione’.
NELLA PRATICA A COSA MI SERVE?
Il compressore è uno di quegli effetti che viene spesso sottovalutato perchè migliora il suono o lo rende più adatto alle parti che stiamo suonando lavorando 'nell'ombra'. Nel budget di una pedaliera quindi si da solitamente la precedenza prima ad effetti come le distorsioni, gli effetti di ambiente e le modulazioni. In realtà un buon compressore, o anche più di uno, nel nostro setup può davvero fare una differenza notevole sia in quanto a versatilità che a qualità del suono.
Ecco alcune classiche situazioni in cui il compressore è molto utile a noi musicisti.
- Prendiamo ad esempio un chitarrista che utilizza più chitarre nello stesso concerto: il compressore può essere impostato per far lavorare i pedali e l'amplificatore sempre nel range dinamico giusto nonostante le chitarre possano avere pickup diversi e potenze in ingresso al setup diverse.
- Oppure nella nostra setlist abbiamo brani in cui suoniamo parti molto diverse, plettrata in arpeggio, accordi in strumming, power chords, fingerstyle e tapping quanto basta. Tutte queste tecniche solitamente generano volumi in uscita del segnale della chitarra abbastanza diversi. Il nostro buon compressore ci aiuterà a rendere tutto più omogeneo, a domare le parti più aggressive e far emergere quelle più delicate.
- Ancora, sia quando suoniamo live che quando registriamo in studio, dare al fonico un segnale non troppo ampio in dinamica può aiutarlo a realizzare un mix migliore. In studio solitamente gli ingegneri del suono preferiscono trattare i suoni con la compressione dopo averli registrati, ma non è raro vedere l'utilizzo di pedali compressori o moduli comp/limiter già in fase di ripresa. Durante i live invece vi farete un gran favore a gestire già nel vostro setup la dinamica del segnale, poichè accade tutto in tempo reale ed il fonico spesso non è in grado di stare al passo con tutto e quindi vi garantirete di essere sempre al posto giusto nel mix.
SCOPRIAMO COME USARE UN COMPRESSORE AL MEGLIO
Qui ci vuole qualche tecnicismo, ma non preoccupatevi, entro in modalità SuperQuark e sarà tutto semplice ed indolore. A grandi linee possiamo riassumere il comportamento di un compressore in tre fasi. Queste possono essere più o meno esplicite, a seconda della complessità del pedale/unità, e corrispondere a dei controlli fisici sull'interfaccia o essere pre-impostati per maggiore praticità.
- Generazione di un segnale, detto ‘side-chain’, che contiene l’informazione del livello istantaneo del segnale.
- Il ‘side-chain’ viene usato dal compressore per determinare quanto e come intervenire sul segnale audio.
- Compressione effettiva del segnale tramite un circuito di amplificazione controllato dal side-chain.
Nella maggior parte dei casi, anche se ci sono pedali estremamente semplificati come ad esempio l'MXR Dyna Comp che ha solo due controlli, a noi viene richiesto di impostare un volume in ingresso, una soglia di volume per l'intervento della compressione, un ratio per decidere se comprimere tanto o poco, ed infine un volume in uscita. Il compressore prende il segnale side-chain e le nostre impostazioni e comanda il circuito in uscita per restituirci il segnale trattato con la dinamica desiderata.
Nei compressori per chitarra molto spesso le cose sono anche più semplici di così. Sapendo già che si tratta di un suono di chitarra, che ha delle caratteristiche abbastanza specifiche, le case preferiscono pre-impostare parametri come la Ratio ed il Volume in ingresso, lasciandoci lavorare solo sulla Sensibilità del compressore, la 'threshold', ed il Volume in uscita, di solito chiamato "Gain", "Make-up" o semplicemente "Output". Altre volte invece, i compressori più evoluti ci danno un controllo di compressione unico che a sua volta controlla più parametri, come la threshold e la ratio assieme.
Altre volte ci troviamo ad avere a che fare anche con parametri chiamati "Attack" e "Sustain" - o sinonimi. Questi si trovano solitamente in pedali e compressori un po' più complessi, che ci permettono di stabilire la velocità di intervento e di rilascio del compressore. Questi tempi di reazione sono molto importanti perchè:
- nel caso dell'attacco decide se il compressore sarà in grado o meno di reagire a suoni molto rapidi, come per esempio lo è la una plettrata decisa o uno slap o tap sulle corde, o se questa parte di segnale passerà inalterata;
- nel caso del sustain o release potremo decidere per quanto tempo dopo che il segnale è sceso sotto la 'soglia di attenzione' il compressore rimarrà attivo, facendo la differenza quindi nelle parti con plettrate molto ravvicinate o nell'allungamento di note molto mantenute - come i bending alla David Gilmour per esempio.
NON ESISTE UNA RICETTA UNICA, A CIASCUNO IL SUO COMPRESSORE
Sulla compressione sono stati scritti libri e si potrebbero spendere pagine e pagine, ma ovviamente questo non è il nostro scopo. Tuttavia è bene sapere che, anche limitandosi al campo chitarristico e degli effetti a pedale, ci sono tante soluzioni diverse a cui corrispondono applicazioni, sonorità ed in definitiva risultati diversi.
Vi faccio un rapidissimo riepilogo delle tipologie di compressori - senza la pretesa di essere esaustivo - così che siate in grado di riconoscerli quando cercherete il vostro prossimo compressore.
Valvolari, o Variable-Mu – Le valvole vengono guidate in tensione dal segnale side chain ed amplificano o riducono il segnale in entrata. Furono i primi compressori progettati. Ci daranno la classica saturazione valvolare quando spinti.
VCA – Utilizza circuiti elettronici controllati in tensione, solitamente a transitor e spesso integrati in schede.Molto diffusi perché flessibili, solitamente abbastanza trasparenti, con la capacità di trattare una banda di frequenze più ampia e più compatti, più rapidi nella risposta e meno costosi dei valvolari.
FET – Simili ai VCA, usano transistor comuni chiamati FET (Field-Effect Transistor) che hanno una risposta velocissima. Possono quindi essere compressori aggressivi e adatti a transienti brevi come quelli delle percussioni o per chi suona l'elettrica o l'acustica in modo percussivo.
Opto – Utilizzano una ‘lampadina’ interna la cui luce è proporzionale all’intensità del segnale che mettiamo in ingresso. Questa luce viene rilevata da un fotodiodo che controlla l’amplificatore. Più luminosa diventerà la lampadina, minore sarà il gain dell’amplificatore che quindi comprimerà il segnale. Questi compressori suonano molto musicali grazie alla loro risposta soft e lenta, con una curva di compressione molto dolce.
QUALCHE ESEMPIO DI SUONI COMPRESSI DA MANUALE
Un classico utilizzo della compressione, utilizzata come effetto che interviene molto sul suono e sulla dinamica, è quello delle chitarre funk anni '70. Questo suono, denominato anche "squash" poichè la dinamica viene schiacciata così tanto da essere praticamente nulla, lo potete sentire in molti pezzi di Prince, di Michael Jackson o di capisaldi del funk come "Le Freak" degli Chic del grande Nile Rodgers.
Nella chitarra pulita, elettrica o acustica, l'utilizzo del compressore è fondamentale per rendere più comprensibili ed omogenee tutte le note. Praticamente qualsiasi arpeggio registrato o suonato che abbia un senso è passato attraverso un compressore. In questo video che segue potete sentire il mitico John Petrucci dei Dream Theater eseguire delle parti arpeggiate in cui la compressione ed un delay sono praticamente tutto quello che serve per generare la magia.
Nelle parti soliste, anche quelle più intricate, soprattutto quelle più intricate, per non perdere mai il fuoco sulla parte principale e mantenerla in primo piano rispetto agli altri strumenti, è bene applicare una compressione più o meno aggressiva così che il mix risulti chiaro ed il pezzo più godibile. Un esempio di questo utilizzo, ma potrei farne migliaia, è questa "Scarified" dell'inarrivabile Paul Gilbert in cui ogni nota della sua chitarra fulminante è sempre perfettamente comprensibile.