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Classic Mic: Electro-Voice RE20


ELECTRO-VOICE RE20

Non so se e quanto andrò avanti con queste retrospettive sui microfoni che si sono ritagliati uno spazio “mitologico” nella storia della ripresa audio ma ammetto che, complice anche la redazione, ci stiamo prendendo gusto nel farlo. Dopotutto andare nel backstage di un evento è da sempre un’operazione ambita ai più fedeli fans di band capellute e distorte (non solo ovviamente) ed anche io, a pensarci bene, con questi brevi articoli ho l’ambizione di guardare ciò che sta dietro (e dentro) a quei microfoni che hanno “ascoltato” le registrazioni di quei brani che ancora tanto ci fanno emozionare! Mi incuriosisce quando sono stati introdotti sul mercato, da chi e quali sono state le vicende che li hanno resi così protagonisti. Le fonti che ho a disposizione sono quelle che abbiamo tutti (internet in primis) ma quello che cerco e cercherò di fare è di mettere un po’ di ordine (o tracciare una linea piuttosto retta) fra le mille notizie che li riguardano.

Un paio di mesi fa (faceva ancora fresco) ho acquistato un microfono che da molto, moltissimo tempo ricercavo. Il suo nome è RE20 ed è prodotto, ancora oggi, da una casa americana di nome Electro-Voice (già il nome Electro-Voice è di per sè curioso nel suo intento!). È stata, come si usa dire (ma spesso non è così) un’occasione, l’occasione di portarsi a casa un pezzo di leggenda della storia della registrazione. Nel mio caso un microfono prodotto (secondo dati di fabbricazione) nel 1978. Microfono che ha viaggiato molto e accolto a sè tante, tantissime note! (il venditore asserisce che sia stato anche nella RAI). Un microfono non di seconda mano ma almeno di terza, ma forse anche con qualche passaggio (sempre di mano) in più!

La domanda è: mi serviva davvero? Avendo già in studio un PL20 (ne parleremo più avanti) davvero avevo bisogno di un microfono diverso soltanto nella sigla? La risposta è facile ed è NO … ma provate voi a dire no ad un microfono che, tanto per citarne uno, usa abitualmente Tom Yorke dei Radiohead …

Comunque, sono ovviamente felice di averlo acquistato e felicissimo di averlo già utilizzato in più di una sessione vocale con risultati molto più che positivi. Già … ma la domanda è: da dove viene questo elegante signore? Chi ne ha dato i natali e quando? Avrà fratelli maggiori e/o minori? E perché lui e non altri al capezzale della storia della registrazione? Proviamo a dare qualche utile risposta?

UN PO’ DI STORIA

Era il lontano 1953 quando in Electro-Voice brevettarono quella che oggi conosciamo come la tecnologia Variable-D (dove D sta per “distance”). Questa tecnologia permetteva ai microfoni prodotti dalla ditta di attenuare di molto l’effetto di prossimità (ovvero quell’innaturale boost sulle frequenze basse quando il microfono viene avvicinato alla sorgente sonora). Il primo microfono prodotto con questa tecnologia fu il modello 664 (figura 1).

È curioso sapere che questo microfono era soprannominato “Buchanan Hammer” (il martello di Buchanan) in quanto, la leggenda narra, come uno dei fondatori di Electro-Voice l’abbia usato come martello per fissare dei chiodi su una tavola di legno durante una conferenza aziendale. Ad ognuno lascio la facoltà di crederci o no!

Ad esso fece seguito il modello 665 (più economico e di minor qualità) ed il 666 dal caratteristico colore oliva e di maggior qualità rispetto ai precedenti. Questo microfono aveva come caratteristica quella di essere particolarmente pesante oltre ad avere una forma sporgente. Questo fu il motivo per cui all’inizio degli anni ’60 la compagnia introdusse nel mercato l’RE15 che diventò il microfono di riferimento per l’industria del broadcast, soprattutto quella riferita ai programmi televisivi.

electro-voice re20 microfono review recensione fabrizio barale smstrumentimusicali

EV 664

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EV 666

L’obiettivo dichiarato dell’azienda era quello di produrre un microfono dinamico che avesse la qualità sonora di un microfono a condensatore!

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RE15

Si può leggere di questo intento da un’interessante dichiarazione del vice presidente della compagnia Lou Burroughs nella quale egli dichiara che lo sforzo comune della compagnia fu quello di assicurare al mercato (e quindi all’azienda) il microfono del futuro, Molto interessanti sono le valutazioni che lo stesso Borroughs fa nei confrontare le varie tipologie di microfoni prodotte in azienda arrivando alla conclusione che il microfono dovesse essere, per forza, dinamico.

Fu così che nel 1968 l’ingegnere Tom Lilinger produsse l’RE20. Il microfono era un dinamico, cardioide a diaframma largo. Sfruttava la tecnologia Variable-D. La sua qualità sonora era eccellente grazie ad alcune caratteristiche.

L’innovativo diaframma del microfono era in un materiale plastico denominato Acoustalloy. Questa formula (non si trovano informazione sulla sua composizione) fu, come dichiarato dal vice presidente di Electro Voice, il “missing link” per produrre ciò che andavano cercando.

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RE20

Il suono era finalmente esteso anche sulle alte frequenze (difficoltà che tutti i dinamici hanno per questioni fisiche) senza apportare durezza al suono. Oltre a questo la membrana aveva un’ottima resistenza agli urti, oltre che una resistenza nel tempo (tutti elementi che Electro Voice riscontrò dopo averla introdotta).

La membrana fu spostata leggermente indietro rispetto alla griglia di protezione e fu introdotto un filtro anti pop interno al microfono. Questo permetteva ai cantanti ed agli speaker letteralmente di “mangiare” il microfono per creare quel suono di voce confidenziale che le trasmissioni radio/televisive e/o produzioni discografiche richiedevano.

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risposta in frequenza del microfono

Oltre a questo vi era la possibilità di applicare un filtro passa alto con frequenza di taglio a 400 Hz per pulire, laddove necessario, le basse frequenze.

Altra caratteristica tecnica è l’utilizzo di una bobina a doppio avvolgimento (humbucker) non polarizzata per ridurre le interferenze elettromagnetiche, caratteristica molto apprezzata in ambienti broadcast particolarmente suscettibili a queste problematiche. Va detto che Electro Voice usava questo metodo su tutti i suoi modelli premium.

L’unica pecca evidente fu il peso che era almeno il doppio del 666.

Il successo di questo microfono fu, fin da subito, importante soprattutto nel mondo del broadcast. I suoi concorrenti dell’epoca erano il Sennheiser MD421 e lo Shure SM5 che furono superati dalla qualità sonora dell’RE20, nonostante il peso che lo rendeva, da un punto di vista del supporto, meno comodo da usare.

L’EVOLUZIONE

Da quel lontano 1968 altri modelli hanno arricchito l’offerta di Electro Voice con piccole o grandi variazioni. Una di essa è quella del 1986 con l’introduzione del modello RE27 N/D.

Si tratta di una evoluzione dell’RE20, soprattutto nel materiale magnetico utilizzato. Esso infatti utilizza una lega in neodimio (da qui la sigla N/D) che aumenta la sensibilità del microfono di circa 6 dB in uscita senza introdurre distorsione. Nel mondo del broadcast questo fu un ulteriore plus della serie RE in quanto permetteva agli speaker di non sgolarsi durante le dirette. L’RE27 introduceva anche ulteriori possibilità di tagli sempre attraverso l’utilizzo di switch posti sul corpo dello stesso microfono.

Se nel mondo del broadcast l’RE20 si era ben posizionato, nel mondo della registrazione le sue qualità non erano ancora state apprezzate. Electro Voice decise quindi di approntare una campagna di marketing per entrare anche negli studi di registrazione. Il modello che fu introdotto in commercio fu il PL20 che differiva dall’RE20 soltanto per il colore. Sembra assurdo ma così fu. I più esperti sanno bene come le classificazioni ci rendano schiavi dell’utilizzo degli apparecchi (senza volontà di sperimentazione). Comunque, si sappia che il PL20 è identico all’RE20 e laddove si sentano differenze questo è dovuto a questioni di componentistica o di fantasie uditive. Il PL20 da un po’ di tempo è stato ritirato dal mercato.

Se l’operazione abbia avuto fortuna o meno andrebbe chiesto ai commerciali di Electro Voice. Quello che è sicuro è che in molti si accorsero di come i citati microfoni fossero performanti anche durante le fasi di registrazione!

Ci sono altri modelli (come l’RE320) introdotti da Electro-Voice, ma diciamo che grosse novità non ci sono più state!

CONCLUSIONI

L’RE20 è ancora oggi uno standard della registrazione. Casse della batteria, amplificatori (sia per basso che per chitarra), fiati (soprattutto sax), tom sono elementi ben catturati dal nostro amato. Ma non solo …

Anche la voce è un elemento che può essere ripreso in modo vincente. È un microfono confidenziale nel senso che la performance può essere ripresa cantando dentro al microfono, dando all’ascoltatore una sensazione di intimità.

Se volete capire di cosa si stia parlando potete ascoltare due dischi mitologici di sua maestà Stevie Wonder ovvero Talking Book (1972) e Innervision (1973).

Serve forse aggiungere altro?

Nel salutarci spero con questo mio articolo di aver stuzzicato la vostra curiosità per un mondo che spesso offre storie e personaggi poco conosciuti. Un mondo fatto di ricerca ingegneristica, di commercio, di successi e fallimenti … ma anche di forte passione, di talento e soprattutto intuizione.

Ci vediamo alla prossima e come dicono dalle mie parti …as sentuma nè!

Electro-Voice

 

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