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Perchè i Big Vendono la Loro Musica e i Podcast La Minacciano


Non più tardi di un mese fa uno dei più grandi cantautori al mondo, nonchè uno dei più gelosi custodi delle sue opere, ha venduto il suo intero catalogo discografico ad una major, per la cifra di 300 milioni di dollari. Si tratta di Bob Dylan, e sia la cifra estremamente importante che l'età del cantautore, 79 anni, probabilmente non hanno fatto alzare ciglio a nessuno sull'opportunità dell'affare.
Se non ci fosse null'altro l'articolo sarebbe finito, voi avreste risparmiato un po' di tempo ed io me la sarei davvero cavata con poco. Ma non è così, perchè tutta una serie di indizi e coincidenze ci diranno che sta succedendo qualcosa di epocale nel mondo della musica.

 

Dylan firmò il suo primo contratto nel 1962 con un piccolo editore. Anni dopo riacquistò tutti i diritti del primo disco e non li cedette più a nessuno per tutta la sua carriera fino ad oggi. Essendo uno degli artisti più 'coverizzati' ed unico scrittore dei suoi pezzi, il suo catalogo di oltre 600 canzoni è uno dei più preziosi al mondo. Per questo Universal Music Publishing ha versato quella cifra mostruosa per delle canzoni. D'ora in poi Universal guadagnerà ogni singolo centesimo sullo sfruttamento delle canzoni del Premio Nobel per la Letteratura. Sono un bel po' di quattrini.

Una delle coincidenze che hanno fatto alzare le antenne a molti esperti del settore musicale è che attualmente altri cataloghi di grande valore sono stati messi in vendita. Scooter Braun, con un'operazione abbastanza controversa ed avversata dalla cantante stessa, ha venduto a Shamrock Holdings il 100% dei diritti sui primi sei dischi di Taylor Swift. Il fondo d'investimento guidato da Roy E. Disney, nipote di Walt Disney, ha versato 300 milioni per i sei album più venduti dell'artista americana. Shamrock tra le altre si è comprata anche la Bass Brothers, e con lei i diritti sui primi album di Eminem. Ma non è finita.

 

Nel 2021 si è scatenata anche Hipgnosis Song Fund, società fondata nel 2018 da Merck Mercuriadis, in passato manager per Elton John, Guns N' Roses e Beyoncé. Dopo una catena di acquisizioni minori, ad inizio anno Hipgnosis ha messo le mani sull'intero catalogo di Lindsay Buckingham, 161 canzoni tra cui anche le più famose dei Fleetwood Mac. Quindi ha comprato il catalogo di Jimmy Iovine, produttore per Bruce Springsteen, U2, Patti Smith e molti altri, oltre che fondatore di Beats Electronics.  E poi ha acquisito il 50% del catalogo di Neil Young, uno dei più ricercati dai fondi, e quello di produttori come Timbaland, The-Dream, TMS e Rodney Jerkins. Si aggiungono alla lista anche i diritti di Mark Ronson, Barry Manilow, Steve Winwood e Blondie.
La lista degli artisti, o eredi, che nel 2020 in particolare hanno venduto i loro diritti è davvero lunga. Non ve li cito nemmeno tutti.

 

Chiaro che il 2020 è stato un anno che ha messo a dura prova le casse degli artisti che si sono visti privi di quasi ogni entrata derivante degli spettacoli dal vivo. E molti di loro sono stati 'costretti' o allettati da proposte economiche vantaggiose. Soldi cash subito invece dei diritti consueti che arrivano un po' per volta e solo se li sai far fruttare bene.
C'è una guerra sotterranea combattuta a suon di miliardi dalle major come Sony, Warner e Universal, queste ultime due in procinto di quotarsi in borsa, per arginare i nuovi fondi aggressivi come Shamrock, Hipgnosis o Primary Wave. Quest'ultima ha messo in catalogo solo negli ultimi anni artisti come Boy GeorgeWhitney Houston, Bob Marley, Burt Bacharach, Ray Charles, Olivia Newton-John, Stevie Nicks, Johnny Cash e Jerry Lee Lewis, solo per citarne alcuni.
Cosa sta succedendo?

music business strumenti musicali

Certo il fatto che molti di questi artisti siano passati a miglior vita e gli eredi vogliano incassare conta. Conta anche che molti di loro non sono più giovani e scattanti e magari preferiscono una buona uscita copiosa piuttosto che guadagni futuri e incerti. Ma la guerra è stata innescata anche da altri fattori.
Il primo di questi fattori è che le grandi major rimaste come Universal, Sony e Warner hanno visto la loro stessa esistenza messa a repentaglio dal cambio totale del mercato musicale degli ultimi 20 anni. Il digitale e poi lo streaming hanno drasticamente ridotto i guadagni, i contratti discografici e messo molti artisti sul mercato a disposizione del miglior offerente. La nascita di nuovi fondi aggressivi che si sono gettati nel mercato dei diritti ha fatto salire i prezzi, aumentando ulteriormente la convenienza per gli artisti a vendere.
C'è poi il fattore Trump. L'ormai ex-presidente americano aveva abbassato notevolmente le tasse su questo tipo di operazioni ed il cambio di presidenza ha aumentato la corsa alle vendite. Biden ha annunciato che per finanziare le sue riforme andrà ad ri-aumentare queste tasse, con la conseguenza che prima del suo insediamento si è verificata una raffica di vendite per incassare il massimo possibile e pagare il meno possibile.

 

Nel titolo però citavo i podcast e non ve ne ho ancora fatto cenno. Con tutto questo giro di soldi attorno alla musica non vi sembra di percepire l'assordante assenza dei grandi dello streaming? Se me lo aveste chiesto qualche anno fa sarebbero stati i primi citati tra coloro che avevano più interesse a rastrellare diritti musicali a destra e a manca. Spotify, Amazon, Google, Apple, nessuna di queste ha fatto ultimamente grossi investimenti al pari di quelli sopracitati per garantirsi l'esclusiva dei cataloghi di artisti importanti. Eppure ne sono tra i maggiori utilizzatori e sicuramente non hanno problemi di cassa.
Quello che le grandi big-tech companies hanno più degli altri sono i dati, le previsioni. E sanno qualcosa che gli altri non hanno visto arrivare.

podcast strumenti musicali

Negli ultimi due anni Spotify ha speso oltre 800 milioni di dollari in compagnie e tecnologie relative ai podcast, compresa la piattaforma Anchor, Megaphone e l'esclusiva da 100 milioni per Joe Rogan. Amazon ha investito 300 milioni per acquisire Wondery, innovativa casa di produzione di podcast. Google ed Apple hanno annunciato notevoli investimenti nei prossimi anni nel mondo dei podcast.
La strategia è duplice e astuta e, mi dispiace dirlo, non vede la musica messa in una bella posizione.
Secondo le maggiori aziende tech le abitudini degli ascoltatori si stanno evolvendo. L'interesse per i contenuti musicali in streaming ha raggiunto la saturazione ed ora è in calo, mentre l'interesse per i podcast sta crescendo a doppia cifra. Su Spotify circa il 22%, oltre 70 milioni di utenti, si è interessato ai podcast nell'ultimo anno.

 

I soldi di chi ha i big-data in mano si stanno quindi dirigendo verso il settore podcast che, grazie anche al mercato esploso degli smart-speaker, è sempre più di moda. Sono inoltre contenuti che via via potranno contenere anche servizi pubblicitari e creare in prospettiva nuovi business. Non c'è quindi da stupirsi se il potere contrattuale ed economico già molto basso dei musicisti verso le piattaforme di streaming andrà ulteriormente a diminuire.
La seconda parte della strategia è dovuta al fatto che queste compagnie sono piene di soldi e possono aspettare. Di certo non conviene loro comprare i diritti musicali ora che sono al massimo del loro valore. Soprattutto quando hanno il potere di far scendere il loro prezzo 'strozzando' la loro diffusione a favore di altri contenuti audio come i podcast.
Quando questi cataloghi avranno perso valore, quando le major saranno fiaccate economicamente dalla lotta per la sopravvivenza ed i nuovi arrivati avranno perso gran parte del loro valore avendo in pancia cataloghi svalutati, allora forse si getteranno sulla preda.

 

In tutto questo i musicisti che fine faranno?
Non lo sappiamo. Probabilmente i concerti live diventeranno un'entrata ancora più vitale per chi suona, quando si potrà tornare a farlo. Come molti musicisti hanno aperto in passato pagine Facebook e poi canali Youtube, ora forse il consiglio potrebbe essere quello di aprire un proprio canale streaming su Twitch o creare un proprio podcast con contenuti musicali originali. Paradossalmente il podcast di un musicista potrebbe essere più spinto dalle piattaforme nei prossimi anni delle sue stesse canzoni.

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