Dopo che il mese scorso il nostro chitarrista del mese è stato, doverosamente, Brian May (Vai all'Articolo) vista anche l'attenzione alle stelle per l'uscita del film Bohemian Rhapsody, questo mese lo dedichiamo ad un altro mostro sacro della musica rock, Ritchie Blackmore.
Oltre ad essere un mostro sacro, Ritchie Blackmore è proprio l'incarnazione del rock, uno di quei pochi chitarristi nella storia della musica a poter veramente dire di essere un pilastro indispensabile del suo genere ed una delle influenze principali per tutti gli artisti rock a venire e non solo.
E' superfluo ormai elencare il curriculum di questo artista, basta citare i nomi di Deep Purple e Rainbow e, anche se in un settore musicale un po' più di nicchia, successivamente i Blackmore's Night, per avere un'idea del contributo enorme di Blackmore.
In questo articolo sulla sua strumentazione devo per forza condensare il tutto ad un formato leggibile in pochi minuti e quindi mi limiterò a fare una panoramica sul Blackmore del periodo d'oro del rock e hard rock.
UN CHITARRISTA NATO PER ENTRARE NEL MITO
Leggendo la biografia di Ritchie Blackmore si capisce che il suo percorso, per quanto non privo di ostacoli, fosse già tracciato fin dall'inizio. E' infatti uno di quei musicisti che, nonostante la sua rinomata spocchia e durezza di carattere, ha saputo sempre essere nel posto giusto al momento giusto, portando nuove idee e sapendo imporre la sua visione musicale che avrebbe lasciato il segno.
Se dovessimo riassumere in due elementi chiave che ci aiutino a capire come il giovane Ritchie Blackmore abbia sviluppato il suo gusto musicale e, conseguentemente, il suo suono, dobbiamo citare sicuramente la musica classica ed il suo primo mentore, il session man veterano Big Jim Sullivan.
La musica classica è una delle fonti di ispirazione fondamentali per Blackmore. Abituato fin da piccolo ad ascoltare e studiare i grandi compositori, ha probabilmente in J.S.Bach il suo maggiore punto di riferimento classico. Impossibile infatti non riconoscere nei fraseggi solisti e nei lick innovativi che ha portato sulla chitarra elettrica le linee bachiane ed passaggi che, fino alla fine degli anni '60, quasi nessuno aveva osato portare nel mondo del rock. Il sodalizio con Jon Lord, che con il suo organo non poteva che fare riferimento alla musica barocca, non ha fatto altro che rafforzare le sue preferenze classiche e la tendenza ad eseguire, anche all'unisono o in armonizzazione con l'organo, parti soliste tecnicamente complesse ed intricate.
Big Jim Sullivan (all'anagrafe James George Tomkins) è stato invece uno dei più grandi session man e turnisti degli anni '60-'70 e '80. Ha suonato in oltre 750 canzoni entrate in classifica e in 54 top-hit della classifica UK. Big Jim, contrapposto a Little Jim, come allora spesso veniva chiamato negli studi il giovane Jimmy Page, è stato mentore del primo Blackmore, insegnandogli diversi trucchi e fondamenti della chitarra grazie alla sua rinomata capacità di suonare praticamente in ogni genere e saper inventare nuovi suoni ed effetti per far svoltare un pezzo.
DUE CHITARRE CHE NON TRADISCONO MAI
Dal punto di vista delle chitarre elettriche Blackmore ha avuto praticamente solo due veri amori incancellabili nella vita. Il primo è stato quello con la Gibson ES-335, che lo ha accompagnato in tutta la sua prima fase. Tutti i primi album e live fino al 1969 ospitano questa chitarra. Già a metà degli anni '60 Ritchie modificò la sua 335 storica con un ponte Bigsby-Vibrato, per essere più versatile ed ottenere effetti più adatti al rock, e fece montare due pickup humbucker PAF con poli regolabili per ottenere un suono più aggressivo. Le sue regolazioni facevano suonare questi pickup quasi come dei P90.
Nel 1968, mentre i Deep Purple erano in tour negli USA come band di apertura per i Cream, Ritchie Blackmore ebbe l'opportunità di provare e comprare una delle Fender Stratocaster che Eric Clapton aveva dismesso. Inutile dire che fu subito amore. Nel 1969 comprò quindi una Stratocaster standard con manico in acero e ponte tremolo. L'arrivo di Jimi Hendrix sulla scena aveva dimostrato la potenza dirompente dell'unione Strato più tremolo e Ritchie non vedeva l'ora di sfruttarne tutte le potenzialità.
Da allora il duo Blackmore-Stratocaster è diventata una delle accoppiate chitarra-chitarrista più note nella storia della musica, con Fender che ha prodotto innumerevoli serie signature di chitarre firmate da questo artista. Famose le sue preferenze per le tastiere in acero non verniciate, soggette quindi ad usura e annerimento notevoli, e per la scaloppatura dei tasti, più leggera sui tasti alti e più profonda salendo, che ha poi influenzato numerosi chitarristi, uno su tutti Yngwie Malmsteen. Altrettanto celebre è la sua avversione per il pickup centrale, tanto da farlo scollegare per poter passare più velocemente tra pickup al manico e ponte.
TRE AMPLIFICATORI, UN SOLO SOUND
Ritchie Blackmore è uno di quei chitarristi di cui si può proprio dire la classica frase: "Ha il suono nelle mani". Ovviamente molto del sound di un chitarrista dipende dal modo in cui suona fisicamente, si tratta in fondo di un lavoro artigianale e manuale in cui il tocco personale fa la differenza, tuttavia è anche vero che lo sviluppo del suono e dell'attrezzatura di Blackmore sono stati votati sempre al raggiungimento di quel particolare suono che probabilmente è sempre stato nella sua testa. Lontano dalle sperimentazioni progressive alla David Gilmour e sempre molto cauto nell'utilizzo della tecnologia, tanto da da suonare oggi in una band di ispirazione medievale, Blackmore ha cambiato diversi amplificatori nella sua carriera, senza mai però snaturare il suo carattere o il suo timbro.
In principio, proprio come Brian May e molti chitarristi negli anni '60, anche il fondatore dei Deep Purple si era affidato alla celebre accoppiata Gibson-Vox, utilizzando il ben noto amplificatore valvolare Vox AC30 che in quegli anni imperversava nel mondo rock forse più di qualsiasi altro modello. Con l'andare del tempo e con lo svilupparsi di un sound sempre più tendente all'hard rock, Blackmore cercò soluzioni sempre made in UK ma più spinte. Per questo motivo alla fine degli anni '60, più o meno nello stesso periodo in cui cambiava da Gibson a Fender, passò dall'utilizzo di un Vox AC30 con l'aiuto di un pedale treble booster (una scelta quasi obbligata per far saturare il Vox) ad un Mashall Major, una testata da 200W estremamente potente con due input che potevano essere messi in cascata per ottenere un controllo di canale ed una specie di volume master. Questa testata prodotta dal '67 al '74 era timbricamente molto caratterizzata dalle sue valvole finali modello KT88 tanto che, quando la scorta di queste valvole terminò, Marshall preferì toglierlo di produzione. Una vera 'bestia' di potenza in grado di sprigionare sul palco un suono di tipo Plexi a volumi incredibili.
Successivamente, come molti negli anni '70 e '80, anche Ritchie passò alle testate Marshall JMP, soprattutto negli anni dei Rainbow, in cui il suono tagliente e molto più aggressivo di queste testate si fece sentire non poco. Nel prossimo paragrafo vi parlerò del trucco che Blackmore usò per mantenere sempre il suo suono grosso e compresso nonostante i cambi di ampli.
Più di recente, dopo l'ultimo album in studio con i Deep Purple nel 1993, Blackmore passò all'utilizzo praticamente esclusivo delle testate valvolari tedesche ENGL, tanto che dopo qualche anno la casa stessa riuscì ad ottenere la collaborazione del chitarrista inglese per la realizzazione di una testata signature che contenesse tutte le sue specifiche e desiderata. La ENGL Ritchie Blackmore Signature E650 da 100W è tutt'ora in produzione e, per ottenere il suono tanto caro al 'menestrello' di Weston, utilizza tre valvole di preamplificazione ECC 83 e quattro valvole finali 5881.
IL TRUCCO DEL REGISTRATORE A NASTRO
Una delle peculiarità più strane del suono di Ritchie Blackmore, che in molti sanno ma non tutti a giudicare dalle domande che mi vengono spesso poste nei miei seminari sui suoni per chitarra, è il suo attaccamento ad un oggetto abbastanza unico da vedere sul palco con un chitarrista: un registratore a nastro. A differenza di ciò che può sembrare, Ritchie iniziò ad utilizzare il registratore AIWA TP1011 proprio per lo scopo per cui era stato progettato, ovvero per registrare su nastro ciò che stava suonando e per fissare le idee. Si accorse però che entrando direttamente con la sua Stratocaster nell'input microfonico del registratore il suono della chitarra diventava più grosso, più dinamico e, alzando il volume della chitarra, anche più saturo. Il preamplificatore di questo registratore a nastro infatti era tarato per il livello di segnale dei microfoni, non per quello di una chitarra, ragion per cui Blackmore riusciva a sfruttare questa saturazione per entrare nell'amplificatore con un suono già spinto ed avere un controllo ancora maggiore dell'aggressività del suo timbro solo dal volume della chitarra. Egli stesso ha dichiarato di non sentirsi a suo agio senza il suo registratore a nastro, poichè il suono perde di calore e di impatto. Proprio per questo è una componente del suo sound che non andrebbe mai trascurata, ed esistono pedali o modi di ottenere questo stadio intermedio di preamplificazione che consentono di arrivare al suono di Blackmore più facilmente.