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lemiPer questa puntata di Sintesi Italiana ci siamo spostati in Piemonte, perchè c’è stato un tempo in cui Torino è stata un polo per lo sviluppo di dispositivi MIDI.

 

La LEMI nasce nel 1976 come centro di assistenza tecnica per gli strumenti musicali, ma a partire dalla metà degli anni Ottanta, per due lustri, ha anche sfornato una serie di device MIDI per diversi ambiti musicali. Il suo fondatore, Felice Manzo, è un amico di chi scrive: in questi anni ci siamo incontrati spesso per discutere di problematiche legate alle riparazioni, e ogni volta, inesorabilmente, la discussione ha deviato sulle passioni comuni e su quanto creato da LEMI in quegli anni. Felice è persona piuttosto riservata: ha condiviso eccezionalmente l’album dei ricordi per gli amici di SM Strumenti Musicali. Ecco il resoconto della nostra bella chiacchierata nella sede di LEMI a Torino.

Felice Manzo: la gioventù

Riccardo Gerbi: come nasce la passione?

Felice Manzo: mi è sempre piaciuto creare e ho avuto la fortuna di vivere buona parte della mia gioventù dividendomi tra Torino e l’Inghilterra. A otto anni costruivo le prime radio a galena correndo sul tetto di casa a fissare l’antenna, mentre a 12 anni ho costruito una variante a transistor e in seguito anche un Kart con il motore di una Vespa! A 13 anni, la folgorazione: ricevo in regalo dal mio padrino inglese un biglietto per assistere al concerto dei Beatles al Vigorelli di Milano, e decido di diventare una rockstar! Un concerto indimenticabile sotto il profilo delle emozioni provate, dimenticabile in termini di resa sonora.

RG: ho rivisto recentemente le varie esibizioni live dei Beatles in America: una tragedia…

FM: tu pensa che al Vigorelli l’impianto voci era un Davoli che – a starci larghi – non superava i 200 watt di potenza: circondato da ragazzine urlanti, non si sentiva assolutamente niente. Tornai a Torino e vidi in vetrina una batteria da Restagno, che comprai. A casa avevo un spazio dove allestii una sala prove, e cominciai a suonare con i compagni di scuola; nel frattempo studiavo elettronica. Nel tempo libero continuai a frequentare il negozio, e il sig. Restagno – che importava gli organi elettronici americani Conn - mi propose di eseguire dei piccoli interventi di riparazione sugli strumenti della clientela.

 

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Felice Manzo al lavoro nel suo ufficio in LEMI

Riparatore per mestiere

RG: rimaneva del tempo libero per creare?

FM: certo. Fra i clienti di Restagno c’erano diverse band torinesi, tra cui i Circus 2000, i Cocks o i Ragazzi del Sole, che suonavano in giro per mezza Italia: per il tastierista Piercarlo Bettini realizzai un potente amplificatore quadricanale da 400 watt. Studiavo al Politecnico, ma il lavoro prese il sopravvento grazie al passaparola dei musicisti, perché all’epoca i riparatori erano solo specializzati in radio e TV, basati su circuiti a valvole. La tecnologia a transistor era appena apparsa, io avevo 20 anni ed ero in grado di riparare o modificare i primi strumenti musicali basati su determinate tecnologie: decisi di diventare un riparatore. L’organo elettronico a mobile in casa era un must, quindi dovevi intervenire anche a domicilio, e in termini economici un intervento era molto redditizio.

RG: quali strumenti hai riparato?

FM: partendo dall’Hammond, per chi poteva permetterselo, fino agli elettronici italiani Farfisa, e poi EKO, Viscount, GEM, Crumar, Logan: tutti quei marchi nati nelle Marche in quel periodo.

 

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La band torinese "I ragazzi del sole" in una foto dell'epoca

Le amicizie importanti

RG: e quando trasformi la tua creatività in un’attività parallela alla riparazione?

FM: la mia fortuna, all’epoca, fu la lingua Inglese: la padronanza con questa lingua spinse diversi distributori/produttori del nostro paese a coinvolgermi nelle loro attività, quando dovevano interfacciarsi con dei marchi esteri. In un periodo di forte fermento creativo, frequentare delle importanti fiere del settore oltreoceano come il NAMM, rapportandosi con i principali brand stranieri, fu strategico. Non solo: per alcuni di loro divenni una sorta di consulente durante le loro trasferte europee. Fu un periodo in cui strinsi belle amicizie!

RG: tra cui quella con Dave Smith?

FM: si, ma anche con John Bowen, Tom Oberheim, Roger Linn o Bob Moog: persone incredibili. Dave Smith secondo me è stato il più geniale tecnicamente parlando, perché forte dei suoi studi informatici non solo introdusse nei suoi sintetizzatori alcuni elementi del mondo computeristico – come la cassetta dati digitale posta sul pannello laterale del Prophet-10 – ma con il protocollo MIDI riuscì a portare tutti i produttori dell’epoca a uniformarsi a un unico linguaggio. Riguardo agli altri amici, Tom Oberheim è un visionario con un approccio vecchio stile, mentre Dave o Markus Ryle (il fondatore di Line 6, ndr) sono sicuramente quelli più all’avanguardia come idee. In ogni caso, tra loro c’è una forte amicizia: oggi non perdono occasione per incontrarsi al NAMM e parlare sempre della passione comune, e anche questo dovrebbe far riflettere.

 

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LEMI: le prime realizzazioni

RG: i primi progetti di LEMI?

FM: io sono sempre stato un appassionato di computer, e Sequential Circuits nei primi anni ottanta inserì nell'ultima versione del Prophet-5 una porta seriale per il controllo da tastiera remota a tracolla e del sequencer dedicato. In America fu messa in vendita una scheda che interfacciava la medesima porta del sintetizzatore ad un Apple II, che comprai immediatamente: cominciai a sperimentare creando un sequencer software che ebbe un buon successo, perché tra le funzioni avevo inserito anche la quantizzazione del Note Off, all’epoca non prevista sui software concorrenti. Per la cronaca, quella porta seriale fu modificata da Dave con un optoisolatore e divenne la prima porta MIDI al mondo.

RG: l’innovazione era all’ordine del giorno in quel periodo…

FM: solo in Europa uscivano almeno due sequencer software al mese realizzati dai primi appassionati, mentre prima erano solo hardware. Il mio software era piuttosto innovativo, perché avevo introdotto anche il Sync per il Clock della drum machine Roland TR-808, all’epoca molto in voga in studio. Questa novità mise in luce un grosso problema: poter sincronizzare anche altri strumenti con Clock differenti come il Synclavier, i sintetizzatori Moog e Sequential Circuits, oppure la drum machine realizzata da Roger Linn. Mi misi immediatamente a studiare un Master Clock in grado di interfacciarsi con buona parte degli strumenti in commercio dell’epoca: il plus di questo modulo era - oltre al display che indicava il tempo finalmente - il Delay, perché consentiva di compensare il ritardo nell’esecuzione che immancabilmente percepivi sincronizzando dei device analogici con un registratore a nastro. Anche il Master Clock riscosse un buon successo di vendite, soprattutto negli studi di registrazione. L’avvento del MIDI risolse i problemi di Sync descritti fin qui, ma con le vendite del Master Clock riuscii a finanziarmi lo sviluppo di altri prodotti in catalogo, tra cui l’interfaccia MIDI Future Shock per Apple II. Per Dave Smith realizzai in questo periodo anche i chip per la drum machine Drumtracks.

 

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Il MIDI: una nuova frontiera

RG: tutto questo lavoro senza un supporto esterno?

FM: in realtà ricevetti dalla Apple nel 1986 due nuovi computer modello II GS per sviluppare del nuovo software; nel frattempo, mi ero comprato anche un Macintosh Plus e un IBM, perché volevo studiare dei software multipiattaforma. Però la concorrenza affilò le armi e si fece agguerrita, e in seguito decisi di abbandonare il sequencer software, perché l'investimento economico e di risorse umane sarebbe stato troppo elevato. Non potevo investire su un team per sviluppare dei progetti di questo tipo.

RG: quali altri device hardware hai studiato in questo periodo?

FM: tutta una serie di prodotti inediti: in primis, il MIDI Merger, poi una pedaliera MIDI e le prime soluzioni per il controllo delle luci. Ricordo che presi la mia valigia piena di prototipi e acquistai un piccolo stand al NAMM a New Orleans, ricevendo il supporto per gli strumenti da Sequential Circuits e da Yamaha, con un DX7. Mi presentai in fiera anche con i primi editor software per il Prophet-600, il DX7, ecc.

RG: erano periodi di assoluto pionierismo?

FM: sicuramente, e c’erano prodotti che erano avanti rispetto al periodo. Il MIDI Merge è un esempio in tal senso: ricordo le ore passate a spiegarne i vantaggi in un setup esteso a un dimostratore Yamaha al NAMM.

 

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Il Recorder/Player MIDI ELKA CR99

Il rapporto con i brand italiani

RG: e le aziende italiane come si approcciarono al MIDI?

FM: in principio furono molto diffidenti: ricordo che insistetti per diverso tempo in Farfisa spingendo l’introduzione del protocollo, ma i loro tecnici erano piuttosto scettici. Viceversa, aziende come SIEL o ELKA seppero cogliere le potenzialità del MIDI, e la seconda acquistò in seguito un mio progetto: il lettore di MIDIFile CR99.

RG: siamo agli albori del MIDIFile, agli inizi degli anni novanta?

FM: esatto. Il CR99 ebbe un buon successo: era il primo registratore digitale MIDI direttamente su floppy disk.  Registrava e poteva riprodurre qualunque dato MIDI: Song, sistema esclusivo o eventi dedicati ai controlli. Una seconda versione con maggiore RAM per supportare tutti i nuovi dati MIDI implementati sulle tastiere non vide purtroppo mai la luce.

 

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I Pooh negli anni novanta, mentre eseguono "Uomini Soli" con un set dotato dei sistemi MIDI wireless di LEMI

Gli anni novanta

RG: tu hai realizzato anche i primi sistemi MIDI Wireless apparsi a Sanremo nel 1990?

FM: si, per i Pooh studiai una serie di sistemi senza fili con cui gestire in remoto i vari sampler impiegati per le tastiere e la batteria (degli Akai S900, ndr). Parliamo dei primi sistemi basati sulla trasmissione analogica del segnale: in termini di sync niente a che vedere con l’affidabilità dei sistemi digitali odierni, però anch’essi ottennero un buon riscontro tra i musicisti.

RG: l’attività si fece frenetica in LEMI?

FM: in quel periodo la LEMI si espanse come service center, allestendo una rete di centri di assistenza in tutta Italia. Puntai sull’assistenza tecnica diretta alle aziende: la fetta di mercato più grossa era oramai appannaggio di sintetizzatori, expander, drum machine, ecc. Per un certo periodo riuscì a conciliare entrambe le attività, ma nei primi anni novanta fui costretto a fare selezione sui progetti da produrre.

RG: la concorrenza si era fatta ancora più agguerrita?

FM: ti presentavi a una fiera del settore con un tuo prodotto, cinque minuti dopo passavano i giapponesi a studiarlo e dopo sei mesi lo trovavi duplicato e venduto a un terzo del tuo prezzo nei negozi. Io sono sempre stato un artigiano, quindi decisi di puntare su prodotti mirati per impieghi non ancora esplorati dai grossi brand, come la sincronizzazione delle luci, per esempio. A tal proposito, ricordo con piacere la collaborazione con Ivana Spagna, che per i suoi tour utilizzò i miei sistemi MIDI per pilotare le luci. Un altro progetto importante furono le serie di amplificatori Yamaha per chitarra AR, i modelli Bass Stage e quelli per chitarra acustica, progettati da me nel 1994 e realizzati in Italia. Questi amplificatori piacquero ai musicisti e si rivelarono piuttosto affidabili.

RG: ma hai mai eseguito delle customizzazioni in laboratorio?

FM: in genere, mi sono sempre rifiutato di modificare gli strumenti. Oggi quando restauro un sintetizzatore vintage lo riporto sempre alle esatte condizioni di quando uscì dalla fabbrica. È pur vero però che, negli anni ottanta, per collegare strumenti fra di loro era necessario progettare e costruire interfacce dedicate.

 

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Lo stand LEMI al SIM Hi-Fi a Milano: anno 1984

Dove è andata la musica

RG: per Felice Manzo, oggi c’è ancora del margine per essere originali?

FM: la tecnologia ha fatto passi da gigante, e oggi un sofisticato modulo MIDI può poggiare su un’architettura alla portata di tutti come Arduino. Il problema odierno nella musica per me è l’originalità, calcolando che sono cambiati i tempi e l’odierna concorrenza cinese ti copierebbe in un attimo, vendendo online la tua idea a poche decine di euro. Oggi gli utili si sono drasticamente ridotti e di conseguenza anche gli investimenti.

RG: senza contare che è cambiato il modo di fare musica?

FM: negli anni ottanta i sintetizzatori stimolarono la creatività musicale: fu un periodo incredibile, e per me irripetibile. Stiamo tutti aspettando da venti anni nuove tecnologie che portino linfa al settore, però se penso che in campo audio, da campionamenti con risoluzione oltre i 300 kHz, siamo scesi all’MP3, non so se ci sia la volontà di salire di livello. Oltretutto, oggi la massa riceve più di quanto vorrebbe: l’offerta nei negozi è sterminata, quindi forse le aziende non hanno convenienza nel proporre strumenti progrediti tecnologicamente.

RG: …e la musica?

FM: la musica di fronte a tutto questo passa in secondo piano: una volta sognavi di diventare una popstar, viceversa, oggi la tendenza è inseguire l’artista di turno, che si è tramutato in influencer. Mi auguro si torni nuovamente ad avere la musica come obbiettivo finale, e non il contorno.

RG: grazie Felice.

 

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