Per questa puntata della rubrica sono ritornato nelle Marche, dove ho incontrato un personaggio di questo settore che opera con discrezione dietro le quinte. Probabilmente molti di voi avranno avuto sotto le dita – e senza saperlo – delle timbriche realizzate da Paolo Principi, un musicista divenuto Sound Designer e programmatore per passione. Un’intervista davvero piacevole quella compiuta con Paolo, perché corroborata da un bel piatto di spaghetti ai frutti di mare circondato dalla sua bella famiglia.
Paolo Principi: gli esordi
Riccardo Gerbi: il tuo approccio con questo mondo è del tutto fortuito?
Paolo Principi: si, perché fui notato da alcuni addetti ai lavori della mia zona per il setup molto particolare. Suonavo nei locali con uno dei primi setup hardware/software: un Macintosh Plus da 1MB di memoria, un hard disk esterno SCSI da 20MB, un Roland U20 quale controller MIDI e un sassofonista in carne ed ossa al mio fianco. Creavo degli arrangiamenti da impiegare live sfruttando una delle prime versioni di Digital Performer, una DAW che mi accompagna oramai da 30 anni.
RG: la prima azienda con cui hai collaborato?
PP: Iniziai collaborando con la ORLA, con Enrico Monaci, creando arrangiamenti per organi e tastiere elettroniche, ma questa esperienza mi permise di cominciare a esplorare il mondo del Sound Design e la programmazione, interagendo con ingegneri e addetti ai lavori di notevole spessore. Per esempio, in ORLA ho conosciuto personaggi come Giorgio Nottoli o l’ingegner Marco Giachi; con quest’ultimo è nata un’amicizia e una collaborazione che, in seguito, ha portato dei bei risultati. Nel 1995 sono poi passato in Viscount, in cui ho curato il progetto della MIDI Master Keyboard MC3000. Parallelamente mi sono laureato al DAMS, specializzandomi in un ambito dell’informatica musicale particolare quale la musicologia computazionale, realizzando per la mia tesi di laurea un software dedicato in linguaggio C.
Sound Designer per mestiere
RG: ma quando diventi a tutti gli effetti un Sound Designer?
PP: accadde in seguito, quando approdai in Syncro, il distributore italiano dell’epoca di Korg. Comparvero sul mercato sintetizzatori a modelli fisici come il Prophecy e il potente Z1: io fui impiegato nella programmazione di timbriche e card dedicate. I risultati ottenuti spinsero i vertici del brand giapponese a inserirmi nello storico “Voicing Team” per lo sviluppo del sintetizzatore Oasys. L’esperienza mi permise di confrontarmi con “guru” del Sound Design del calibro di Michele Paciulli, Geoff Stradling, Jerry Kovarsky, Jack Hotop, Steve McNally o Michael Geisel. In Korg curai infine anche delle timbriche per il sintetizzatore Triton.
RG: …e la musica?
PP: con le aziende ho sempre stipulato contratti di collaborazione esterna: tre giorni di lavoro settimanali per avere tempo libero in cui studiare e seguire anche la mia musica. Terminata la collaborazione con Syncro, oltre alle mie composizioni, mi sono dedicato anche ad alcuni progetti quali delle colonne sonore per il Teatro Stabile delle Marche, e la sonorizzazione multimediale.
RG: in seguito, il ritorno in Studiologic?
PP: esatto. Accadde nel 2009 per programmare e realizzare i suoni della NUMA Piano, il primo strumento Fatar/Studiologic dotato di un generatore sonoro onboard. In azienda ho trovato un team di vecchi amici come il già citato Marco Giachi o Gianni Giudici, quindi l’affiatamento era totale. Ricordo che al Musikmesse di quell’anno arrivammo in finale con la NUMA Piano al MIPA Awards: per noi fu un riconoscimento importante. Nel 2012 ritorno in Viscount e prendo parte al progetto del Physis Piano, con mansioni di Interface Designer, per curare i vari menu proposti nel display. Dopo tante collaborazioni con diverse aziende, dove ho potuto applicarmi anche in ambiti tecnici diversi, nel 2015 ho deciso di avviare un progetto come PSOUND.
PSOUND
RG: quali i motivi che ti hanno spinto ad aprire la tua azienda?
PP: dopo 25 anni di attività nel campo della tecnologia musicale, l’idea di partenza era quella di coniugare tutte le esperienze acquisite in questo settore con la cultura del mio territorio. Il primo risultato è stato il virtual instrument Vintage Accordion, un progetto di cui vado particolarmente orgoglioso, perché è frutto di studi approfonditi in collaborazione con alcuni storici fisarmonicari del comparto marchigiano.
RG: un virtual instrument impiegato con profitto anche dall’etichetta Real World…
PP: non ti nascondo l’enorme sorpresa quando mi ha contattato Peter Gabriel per richiederne le licenze! Dopo Vintage Accordion ho realizzato altri due strumenti mirati quali World Musette e Bandoneon. Lo scorso anno ho rilasciato infine il Vintage Electric, la mia visione del suono del Fender Rhodes Mark I. A mio parere, negli anni il suono del Fender Rhodes si è evoluto, allontanandosi però dal carattere del primo modello: un suono divenuto molto patinato e ricco di fondamentale. Con il Vintage Electric ho voluto compiere un lavoro filologico, impiegando per l’occasione un paio di esemplari di Mark I Seventy Three. Durante la sessione di campionamento sono intervenuto sugli strumenti modificandone il carattere: dal più morbido delle prime versioni con martelletto in feltro, fino a quello più duro e cangiante delle varianti con il martelletto in neoprene. Il risultato è un virtual instrument in cui ogni preset è basato su 16 layer per nota, ma ho introdotto un controller che consente all’utente di passare da un carattere sonoro all’altro con un semplice “clic” del mouse. Anche questo virtual instrument mi sta regalando belle soddisfazioni: l’amico Geoff Stradling oggi è direttore musicale della serata dei Golden Globe e ha utilizzato il Vintage Electric su gran parte degli oltre 60 brani in scaletta. Recuperare un Fender Rhodes Mark I in buone condizioni a Los Angeles non credo sia un problema, e sapere che "Vintage Electric" sia stato l'unico virtual instrument usato insieme ad un’orchestra di quel calibro è una grossa soddisfazione.
RG: parallelamente al progetto PSOUND, recentemente sei tornato a collaborare con Studiologic: i motivi di questa scelta?
PP: ho sempre privilegiato il lato umano nelle collaborazioni, perché se il team è affiatato si lavora bene e il progetto viaggia spedito. Sono ritornato in Studiologic perché oltre ai già citati Marco Giachi e Gianni Giudici, il team si è arricchito di figure di rilievo come Simone Capitani, un esperto di Interface Design. Al timone dell’azienda c’è Marco Ragni che - oltre a essere un ingegnere e appassionato di musica - è un imprenditore con una forte passione verso l’innovazione: tutto questo per me è stimolante e insieme stiamo studiando dei bei progetti.
Il Sound Design
RG: puoi descrivere il tuo setup per la cattura?
PP: per me, la base sono dei microfoni di alta qualità, e dopo aver impiegato per anni delle capsule Neumann, recentemente ho acquistato anche un set di DPA 4006 che uso negli ultimi progetti. Un altro elemento per me fondamentale nella catena è l’interfaccia audio: da sempre sono utente Apogee e attualmente impiego il modello Symphony I/O MkII con i suoi Mic Preamp, eccezionali sotto il profilo della precisione. Per la registrazione uso l’ultima versione della DAW Digital Performer, mentre per l’editing dei software quali Izotope RX e DSP-Quattro dell’amico Stefano Daino, che ritengo uno dei migliori Sound Editor su Mac per realizzare dei loop. Ho investito molto per ottenere una catena del segnale allo stato dell’arte, e anche tra i software ho scelto di comprare una manciata di applicazioni efficaci, in grado di snellire il workflow.
Lo studio e i progetti
RG: e nel tuo studio quali strumenti utilizzi?
PP: non sono un collezionista di vintage, e anche per suonare o comporre mi circondo di pochi strumenti. Tra i virtual instrument uso con profitto la Vienna Symphonic Library per i suoni orchestrali, Spectrasonics Omnisphere per sonorità Ambient o sintetiche, e ovviamente le mie creazioni marchiate PSOUND.
RG: tra i tuoi progetti, quale il più ostico e quale il più divertente?
PP: ricordo le notti insonni per scoprire tutte le potenzialità insite nella generazione a modelli fisici di Korg: realizzare una card di suoni dedicati per lo Z1 è stata una sfida molto interessante. In tempi più recenti ho speso molto nel progetto PSOUND, perché con un’azienda tutta tua non curi solo il campionamento, la programmazione o l’interfaccia del software, ma devi seguire “h24” altri settori strategici come la comunicazione, il commerciale e molto altro. In ogni caso, le soddisfazioni ripagano degli sforzi e non mi fanno pentire della strada intrapresa.
Il campionamento: Tips&Tricks
RG: grazie ai software odierni, l’utente può campionare timbriche nel proprio home studio: su quale aspetto deve prestare maggiore attenzione in fase di cattura?
PP: suggerisco di prestare molta attenzione a quello che gli americani definiscono la “Playability”, in altre parole, un timbro suonabile. Per esempio, in un multilayer si può perdonare il singolo campione con un piccolo rumore di fondo di contorno, a patto che il risultato finale sia una dinamica e una musicalità che consentono al musicista di esprimersi al meglio. Questo è un punto fermo in tutti i miei progetti.
RG: rimanendo sulla “playability” in ambito virtual instrument, quanto è importante l’interazione tra meccanica che trasmette e la generazione sonora ricevente?
PP: tantissimo, non solo in termini di risoluzione nella trasmissione degli eventi, ma anche come feeling tattile. Recentemente ho dovuto acquistare “al volo” e online un controller MIDI per un progetto, ma tolto dall’imballo e messe le mani sulla tastiera l’ho rivenduto immediatamente senza nemmeno accenderlo: insuonabile. Il feedback restituito dalla meccanica è molto importante, perché è il mezzo con il quale ti interfacci con il suono. In Fatar/Studiologic si presta sempre molta attenzione a determinati aspetti, e ti anticipo che in futuro ci saranno belle sorprese sul fronte del feeling tra i controller in catalogo.
Passioni ed emozioni
RG: che strumento porterebbe Paolo Principi sull’isola deserta?
PP: sicuramente la fisarmonica, in primis perché non richiede energia elettrica, e poi l’ho riscoperta con piacere dopo 25 anni grazie alle ricerche svolte per i virtual instrument PSOUND. Uno strumento che abbracci come una bella donna (parole del mio storico maestro Rolando Bolognini) e ti fa sentire le vibrazioni del suono durante l’esecuzione: come fai a non portarlo con te?
RG: nella carriera di musicista, il momento più emozionante?
PP: ricordo con affetto la presentazione del progetto “Paolo Principi Quartet” a teatro sei anni fa, perché tra il pubblico c’era mia madre gravemente ammalata, e sapevo sarebbe stata l’ultima volta che mi avrebbe visto sul palco. Un momento emozionante è avvenuto quest’anno al NAMM, dove ho incontrato Herbie Hancock e ho potuto discutere del libro che sto realizzando a lui dedicato. Hancock è rimasto impressionato dalle mie ricerche musicologiche: sto trascrivendo alcuni suoi assoli per dimostrare dei punti di connessione tra il suo approccio armonico politonale e quello di storici compositori come Ravel e Stravinskij. Dovrei incontrarlo a breve in Italia, e spero di poter dire che il lavoro è terminato.
Il futuro del linguaggio Musicale
RG: in conclusione, sei anche un musicologo: vedi dei margini di miglioramento nell’evoluzione del linguaggio musicale?
PP: il rinnovamento del linguaggio musicale storicamente è sempre stato influenzato dall’evoluzione degli strumenti musicali, però ritengo che anche la cultura e i valori del musicista in questi passaggi abbiano la loro importanza. Per una delle mie passioni quali il jazz, alcuni musicisti tra cui Enrico Rava indicano per esempio l’elettronica quale chiave per il rinnovamento del linguaggio in questo genere musicale. Personalmente sono più vicino alle idee di Herbie Hancock e Wayne Shorter, espresse in una lettera aperta dedicata alle nuove generazioni di artisti. In questa lettera, i due spronano i giovani musicisti ad avere una funzione sociale nell’arte, per cui un rinnovamento musicale deve andare di pari passo con una maggiore attenzione ai problemi della società odierna. Penso a un fenomeno drammatico come quello dei migranti, che ci ricollega direttamente alle origini del jazz, nato appunto da fenomeni migratori risalenti al sedicesimo secolo. Incontri di culture che hanno generato bellezza. Tutto questo non va assolutamente dimenticato.
RG: grazie Paolo!
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