Da tempo c'è un grande dibattito sulle royalties nello streaming musicale. Vogliamo parlare più terra terra? Quanto gli artisti guadagnano dagli ascolti degli utenti di piattaforme come Spotify, Apple Music, Amazon Music e compagnia. Alcuni artisti come Taylor Swift hanno portato avanti una battaglia contro la svalutazione della musica dovuto allo sbilanciamento di potere a favore delle piattaforme, che ovviamente hanno tutto l'interesse a pagare ogni ascolto meno possibile all'artista, tenendo per se una percentuale più alta dell'abbonamento pagato dall'utente.
I modelli contrapposti di calcolo delle royalties sono due al momento: il "pro-rata" utilizzato praticamente da tutte le piattaforme, prima tra tutte Spotify, e lo "user-centric licensing", che SoundCloud inizierà a sperimentare per oltre 100 mila artisti indie a partire dal mese di aprile.
Eccoli spiegati in poche parole.
Il modello Pro-Rata prende tutti gli introiti della piattaforma (pubblicità dagli utenti free e gli abbonamenti dai profili premium) li mette nello stesso calderone, sottrae la percentuale che la piattaforma si tiene (dal 30 al 40%), quindi divide il restante 60-70% e lo versa agli artisti (o alle major in gran parte) in base alla percentuale di stream che ciascuno ha avuto in rapporto al totale.
In questo modello ovviamente i grandi artisti con più stream guadagnano molto di più degli artisti piccoli. Per questo non c'è un pagamento fisso per ogni stream. Chi ha più "quote" prende di più. Tanto ai grandi che finiscono nelle mega-playlist e briciole a chi rimane fuori.
Il modello User-Centric Licensing invece calcola ogni effettivo stream dell'utente e reindirizza i soldi del suo abbonamento solo verso gli artisti effettivamente ascoltati. Se un utente ascolta solo jazz il suo abbonamento non andrà quindi, a differenza dell'altro modello, a pagare anche gli artisti main-stream alimentati dalle playlist commerciali.
Questo modello in linea teorica è più bilanciato verso gli artisti indipendenti e le nicchie musicali con un numero importante ma minoritario di ascoltatori fidelizzati.
Anche se a molti il modello User-Centric è sempre sembrato più democratico, alcuni studi (e il parere delle major ovviamente) avevano sottolineato l'impossibilità di tracciare una mole di dati così grande, dovendo ripartire diversamente l'abbonamento di ogni singolo utente e obiettando spesso che il cambiamento minimo nella distribuzione delle royalties non sarebbe valso il costo. Tuttavia SoundCloud non è d'accordo ed ha fatto negli ultimi mesi diverse simulazioni, alcune pubblicate su di un mini-sito dedicato al cosiddetto sistema "fan-powered royalties" (il nome di marketing per il modello User-Centric).
Gli esempi di due artisti indie come Vincent (124k followers) e Chevy (12,7k followers) mostrano come passando al modello Fan-Powered il primo passerebbe da 120$ di entrate a 600$, cinque volte di più, mentre la seconda vedrebbe le sue entrate aumentare del 217%.
Visto così sembrerebbe matematicamente chiaro come quest'ultimo modello sia più rispettoso di ogni singolo artista, piccolo o grande che sia. Ovviamente non va dimenticato il grande peso degli accordi tra le major e le piattaforme, ed è estremamente difficile che senza un accordo con le tre grandi (Sony, Warner e Universal) si possa applicare questo modello a tutti gli stream. SoundCloud ha quindi deciso che manterrà due binari paralleli per ora, per i 100 mila artisti indipendenti che distribuiscono attraverso SoundCloud la loro musica verso tutte le piattaforme applicherà il modello User-Centric, mentre per tutti gli altri manterrà il Pro-Rata. Questo potrebbe inizialmente comportare costi maggiori per SoundCloud, per pagare le maggiori entrate degli artisti indie, ma nel medio-lungo periodo la piattaforma americana conta in questo modo di attirare sempre più artisti indipendenti e utenti delle nicchie a passare alla loro piattaforma piuttosto che alle grandi generaliste. E' ormai chiaro che una guerra frontale con Spotify non la puoi fare, quindi meglio combattere su un territorio più piccolo dove puoi offrire ad una certa fascia di musicisti condizioni migliori e guadagnarne la fiducia.
Come potete vedere dal grafico qui sopra, la quota in cui SoundCloud sussiste oggi è quel 14% largamente minoritario rispetto alle grandi piattaforme. Su 304 milioni di abbonamenti, solo 34,5 milioni vanno a quel settore, con Spotify, Apple e Amazon che da soli si prendono circa il 70% del mercato.
SoundCloud punta quindi a guardagnare una quota di mercato sempre maggiore verso le nicchie, attirando prima gli artisti indipendenti con la promessa di pagare loro una percentuale maggiore delle royalties e garantirgli la possibilità di costruire una fan-base fidelizzata con cui avere un rapporto più stretto e su cui costruire il proprio gruzzoletto. Con una sempre maggiore quota di artisti indipendenti il progetto è quello di attirare sempre più abbonati interessati a questo tipo di musica, come il jazz, la classica, o le nicchie come l'elettronica o il cantautorato indipendente. Ascoltatori che magari non sono minimamente interessati alla musica commerciale e sono più contenti che il loro abbonamento vada a supportare al 100% gli artisti che vogliono sostenere.
C'è un altro dato che conforta il ragionamento a medio-lungo termine di SoundCloud. E' infatti una delle piattaforme più utilizzate dai giovani under-30, che la usano per scoprire nuovi artisti e sono storicamente più propensi a supportare la scena underground rispetto agli over-30.
Un esempio illustre di come SoundCloud permetta agli artisti indie di emergere anche in modo prepotente è quello di Billie Eilish che nel 2015 divenne virale proprio su questa piattaforma dopo aver postato il suo brano "Ocean Eyes".
Forse con questo passaggio di modello molti più artisti indipendenti riusciranno a guadagnare davvero dagli streaming. I dati attualmente sono infatti molto sbilanciati verso i "grandi". Prendendo la piattaforma più grande come esempio, Spotify dichiara di avere 3 milioni di creatori di contenuti registrati, tuttavia sono solo circa 43 mila artisti a raccogliere il 90% dello streaming. Facendo due conti, Spotify ha dichiarato nel Q2 2020 di aver raccolto 2,05 miliari di dollari, di cui il 52% è andato alle major. Sono 960 milioni di dollari a trimestre, che divisi per i 43 mila artisti sopracitati fanno circa 22,325$ a trimestre per artista. Il che ci porta ad un guadagno di circa 89 mila $ annui in media per ognuno di questi grandi artisti su cui si concentra il 90% dello streaming. Inteso che questi 90 mila $ annui sono da dividere tra artista e casa discografica secondo il contratto che ciascuno ha.
Certo anche in questo nutrito gruppetto ci sono pesci grandi e piccoli, quindi la distribuzione sarà comunque sbilanciata verso i top-artist, ma fin qui sembrerebbe un buono stipendio, no?
Ci siamo però dimenticati di tutti gli altri artisti, che sono il 99% del totale, la stragrande maggioranza. Ecco, questi 3 milioni di artisti si dividono con il modello Pro-Rata il 10% degli introiti della piattaforma di streaming. Senza stare a farvi tutti i passaggi, il mensile per ciascuno di questi artisti è di circa 12$. Tutto un altro discorso, insomma. Sicuramente meno delle spese che un'artista ha per produrre la sua musica.
Questo è il motivo per cui il modello "User-Centric" o "Fan-Powered", che dir si voglia, potrebbe attrarre una grande quantità di artisti con un buon seguito ma che attualmente non stanno guadagnando praticamente nulla dalla propria musica a passare a SoundCloud per essere remunerati più equamente e stringere un rapporto più stretto con la propria community di fans.