Anaheim, Winter NAMM 1988: Korg presenta agli addetti ai lavori il prototipo 731, che verrà rinominato M1. Da lì a poco, il mondo conobbe la prima Workstation di successo con una serie di preset favolosi che ne determinarono il successo planetario.
La scena del 1988 è la seguente: da alcuni anni i produttori di sintetizzatori hanno spostato la loro attenzione sul digitale, ancora costoso per i componenti e molto limitato, proponendo una serie di sintetizzatori ibridi basati su una ridotta Wavetable, con forme d’onda semplici o molto brevi, processate poi da un filtro analogico. Da una parte ci sono i puri digitali come Yamaha, con tutti i modelli in FM e il formidabile DX-7 II FD, e Roland D-50, dall’altra sono in molti a cercare spazio con una minima Wavetable, compresa la stessa Korg con la serie DW ed EX basata su forme d’onda ristrette e semplificate. Il digitale permette di estendere la polifonia e rendere i synth multitimbrici, cioè in grado di riprodurre contemporaneamente preset differenti su canali MIDI o interni. L’interfaccia MIDI è universalmente integrata nei synth e il mondo dei sequencer software ha già alcuni prodotti di grande pregio. Nel 1984 Kurzweil ha presentato quel bisonte di K250 con suoni campionati di grande qualità e pronti all'uso, che si affianca all'ascesa dei campionatori Emu, ma il prezzo è proibitivo.
Korg M1 ha diversi progenitori che hanno indicato la strada. Il punto di partenza sono i campionatori, primo fra tutti il leggendario E-mu Emulator II che può contare anche su un sequencer interno a 8 tracce a cui se ne aggiungono altre 8 via MIDI. Assieme al modello di qualità minore Emax, i campionatori E-mu non hanno alcun effetto interno: sono campionatori con sequencer.
Nel ramo dei sintetizzatori, Akai, Crumar, Casio, Elka, Ensoniq, Kawai, la stessa Korg, Kurzweil, Roland, Oberheim, Sequential e Yamaha hanno in catalogo sintetizzatori senza unità di effetti e senza sequencer (se si esclude Ensoniq SQ80 per il sequencer e Roland D-50 con effetti di riverbero e chorus, uscito l'anno prima di M1). Nessun sintetizzatore, a meno di essere un campionatore, aveva campioni di batteria e percussioni. C’era dunque un clamoroso spazio per un nuovo concetto di sintetizzatore basato su campioni di strumenti acustici e di batteria, con sequencer ed effetti, per produrre un intero brano musicale senza uscire da un’unica tastiera!
Che cos'è una workstation
Alla base del concetto di Workstation, oggi evoluto in prodotti come Korg Kronos (ora sostituita da Nautilus), Roland Fantom e Yamaha Montage, c’è la necessità di avere un generatore multitimbrico programmabile, anche con tecniche di sintesi differenti, che includa tutta una serie di suoni sintetici e soprattutto acustici (pianoforte, chitarre, archi, percussioni, ottoni, fiati, bassi e batteria), per creare un arrangiamento completo, integrando un sequencer e una o più unità effetti, con un pannello di controllo basato su display e una meccanica di tastiera con Velocity e Aftertouch, arricchita da controller fisici e connettività con computer via USB.
Il sequencer in particolare deve essere multitraccia con pattern e con editing degli eventi MIDI, possibilità di inserimento step by step di note e controller MIDI, mimando di fatto un sequencer software. Più è sofisticato, con funzioni avanzate di quantizzazione, copia, incolla e Merge, meglio è. Naturalmente tutto quanto deve poter essere memorizzato da qualche parte e alla fine degli anni ottanta il floppy disk era il mezzo migliore e più economico, oltre al Dump dei dati via MIDI. Oggi si fa tutto via USB.
Korg M1 – La prima vera Workstation!
Senza ombra di dubbio alcuno, il 1988 vide in Korg M1 la prima vera tastiera Workstation, che introdusse il concetto di un unico prodotto per suonare, registrare e programmare anche senza computer. M1 è per molti versi un prodotto vincente, perché ognuno dei suoi singoli elementi era eccellente e perfettamente integrato con gli altri. Si comincia con una serie di 100 Program e quattro Drum Kit che hanno fatto la storia della musica alla fine degli anni ’80 e inizio ’90, determinando l’impronta sonora di quei tempi di interi generi musicali, come l’House, la Dance, l’Hip Hop, l’R&B e il Pop. La produzione di M1 terminò nel 1995.
La ROM di M1 aveva 4 MByte per 144 campioni di eccellente fattura (grazie anche al lavoro fantastico del nostro Michele Paciulli con il campionatore Korg DSS1), un display a doppia riga da 40 caratteri che consentiva di controllare abbastanza agevolmente il sequencer (abbiamo passato ore a immettere step by step pattern ritmici o linee di basso e chitarra) e una unità effetti che coccolava i singoli preset rendendoli pronti all’uso e di una bellezza affascinante, ricordando che all’epoca gli altri synth ne erano completamente sprovvisti. Roland D-50 aveva dimostrato, un anno prima, quanto un riverbero potesse cambiare la percezione del timbro!
Korg M1 non era solo un’idea innovativa, ma anche un esempio di design industriale minimalista di notevole bellezza: completamente nero, con pulsanti tondi retroilluminati di rosso (quanto lavoro hanno dato ai centri di assistenza!), un display retroilluminato e forme completamente arrotondate, mai viste prima. L'M1, assieme a T3 e T2, rimane il synth con più curve di sempre, con un design che a noi piace ancora tantissimo. Tutto, di M1, doveva essere dirompente e diverso, per cui al posto delle wheel o del Lever/Bender arriva il joystick. Le proporzioni tra profondità e lunghezza erano perfette da vedere. Poi c’era la meccanica di tastiera, la stessa dell’eccellente Yamaha DX7 IIFD, che ancora oggi è un ottimo punto di riferimento per velocità di ritorno e resistenza, assieme all’Aftertouch monofonico.
All’uscita di Korg M1, c’era abbastanza confusione su come lavorasse il motore timbrico, chiamato AI Synthesis (Advanced Integrated), ma di fatto stiamo parlando dell’ormai assodato concetto di sintetizzatore basato su campioni (sample player) con classiche funzioni di editing, che comprendono modulazioni, inviluppi a quattro segmenti per ampiezza, pitch e filtro, quest’ultimo senza risonanza. L'assenza della risonanza sarà presente anche sulle successive serie T, riducendo molto l'aspetto sintetico della workstation.
Korg riempì quei quattro MB con campioni a 16 bit e forme d’onda DWGS, campionando anche in Italia, sempre dal grande Paciulli, tutta una serie di sintetizzatori vintage per i campioni di synth analogici. La polifonia a 16 voci, sul singolo Program, consentiva anche l’uso multitimbrico con le 100 Combi a otto parti in Layer o Split, associate al sequencer, che offriva 10 song, 100 pattern, otto tracce con allocazione dinamica e 4.400 note. Si poteva passare a 7.700 note, sacrificando 50 Program e 50 Combination. La memorizzazione dei dati era affidata a una RAM Card, perché M1 non era dotato di floppy disk per risparmiare sul costo. Per molti tastieristi, il sequencer di M1, pur spartano e scomodo da usare, fu una benedizione, rimandando l'acquisto di computer, software e interfaccia MIDI. Come si poteva ovviare alla mancanza del floppy disk? C'era il piccolo Yamaha MDF-1 con Quick Disk da 2,8 che poteva memorizzare dump MIDI inviati da Korg M1! Altri tempi...
Ognuno dei 100 Program, sempre in RAM, può usare fino a due oscillatori digitali, associati a uno dei 100 Multisound (i campioni in ROM) multicampionati (un’altra novità assoluta su una tastiera di questo prezzo). Un Program con due oscillatori dimezza la polifonia a otto voci. L’incredibile qualità dei campioni, con un suono sempre molto rotondo, pieno e potente, mai sterile o sottile, permetteva spesso di usare un solo oscillatore.
Non essendoci la risonanza, il punto focale per chi voleva sperimentare con il sintetizzatore era racchiuso nella possibilità di trasporre il campione di molte ottave e poi applicare un inviluppo sul pitch per tornare a far suonare il campione nel suo range corretto. In questo modo, si costringeva M1 a leggere porzioni di campioni associate ad aree di tastiera differente, creando nuovi suoni con un timbro di attacco decisamente differente e originale. Alcuni dei migliori preset (pensiamo a Symphonic) erano programmati per sfruttare campioni e forme d'onda, con risultati strabilianti.
L’altra parte del cuore di M1 è nell’unità di effetti composta da due processori d’effetti, che potevano lavorare in serie o in parallelo, comprendendo anche le due uscite audio accessorie oltre alle due stereo con una terribile confusione in fase di programmazione, e funzioni di copia e incolla tra gli effetti. Le due unità effetti prevedevano un minimo set di parametri, ma gli algoritmi offerti erano impensabili per quegli anni su una tastiera: sei tipi di riverbero, tre Early Stage, due Delay, due Chorus, due Flanger, due Phaser, due Tremolo, un equalizzatore a due bande, un Overdrive, un Distorsion, un Exciter, un Symphonic, un Rotary Speaker e otto combinazioni di effetti tra quelli già citati sempre con un Delay in testa.
Il successo meritato
Ricorderemo sempre l’emozione della prima volta mettendo le mani sul primo M1 che aveva a disposizione il Magazzino Musicale Merula: era difficile trovarli nei primi mesi di lancio, da quanti ne vendevano. I Program erano reali, ispiranti, musicali, ricchi, cangianti e ancora oggi mantengono le loro personalità così evidente da essere diventati dei veri e propri classici. I tastieristi da palco furono i primi a intuirne le capacità, seguiti immediatamente da chiunque fosse un musicista con uno studio, non importa se piccolo o grande, perché il concetto di Workstation era perfetto per qualsiasi finalità, fosse quella di creare una song o una demo in studio o di suonare con campioni che erano naturali (oggi decisamente meno) rispetto a qualsiasi sintetizzatore dell’epoca.
Questi risultati erano merito di un team guidato da Jack Hotop che comprendeva diversi musicisti nel mondo che erano anche sound designer. La scelta dei campioni e dei Program procedeva secondo un sistema democratico: se il campione o il Program era apprezzato e suonato da tutti i componenti del team, entrava nella lista dei potenziali campioni. In questo modo si arrivò alla ROM definitiva e ai 100 Program e 100 Combi che erano tutte quante musicali.
Era un passo avanti notevolissimo per l’epoca, ancora dominata da sintetizzatori analogici o digitali che suonavano da… sintetizzatore, scimmiottando un po' le sonorità del Dx7. Ogni singolo elemento di M1, nel suo generatore timbrico, era stato tarato molto attentamente per poter offrire un timbro facilmente eseguibile sulla tastiera senza artifici e con quei minimi cambiamenti legati alla Velocity che lo rendevano vivo.
E non bisogna dimenticare il prezzo (2.000 dollari, che in Italia erano circa 2 milioni e mezzo di lire), che era alla portata di qualsiasi musicista professionista, allontanando la necessità di un campionatore. Passò solo un anno dal lancio di M1 e Korg introdusse la serie T, cioè un M1 potenziato nella ROM con 275 Multisound (8MB), 50.000 note per il sequencer e con floppy disk, nelle versioni a 61 (T3), 76 (T2) e 88 note pesate (il mastodontico T1). Mentre il T1 aveva di serie 1 MB di RAM per caricare campioni, Korg offrì l’espansione EX sempre da un MB per T3 e T2. Assieme alle successive incarnazioni della serie 01, l’intero progetto partito da M1 è accreditato per più di 250.000 unità vendute, sebbene i numeri non siano mai stati ufficialmente confermati.
Alcuni dei Program di M1 hanno determinato interi generi musicali come l’House, praticamente basata su Korg M1 e Roland TR-909/808. Si veda per esempio quel gran pezzo che è stato Gypsy Woman dei Crystal Waters con l’organo in introduzione, puro M1, rinforzato poi dal pianoforte di M1. La storia di quell’organo nasce dall’uso della normalizzazione del campione di organo originale realizzato sul campionatore Korg DSS1, che aveva una fase di sustain completamente differente, anche nel timbro, rispetto all’originale Hammond. La differenza tra i Program Organ 1 e 2 è nella fase di attacco, perché in uno è presente mentre nell’altro la riproduzione del campione comincia dopo la fase di attacco, creando di fatto un nuovo timbro.
Se siete alla ricerca della sorgente di molti dei campioni di M1, dovete riferirvi al DSS-1 e alla sua library che ancora oggi ha una grande personalità: non farete fatica a riconoscere molti dei successi di M1, compreso il campione Lore. Si potrebbe concludere che mentre M1 è una workstation digitale, la parte di sintetizzatore di M1 è rimasta nel cuore di DSS-1, che per inciso ha dei filtri analogici spettacolari e un suono ancora più caldo di quello di M1! Tuttavia usare un DSS-1 è una penitenza, rispetto al richiamo immediato dei Program di M1: benvenuti alla fine degli anni '80.
L’Organ di M1 divenne talmente importante nelle produzioni dance che si trova quasi alla pari del basso synth del Minimoog per altri generi. Curiosi? Alzate il subwoofer e buon divertimento!
E che dire del pianoforte di M1, fondamenta dell’House Music. Il campione fu aggiunto solo alla fine ed era derivato dal campione del piano digitale Korg SG-1 ma con diversi cambiamenti: meno campioni, stretch sul Pitch, ricampionato. Programmato a dovere su M1, nacque il piano con quel suono metallico adatto all’House e che è diventato a sua volta un classico ancora oggi utilizzato. Non lo riconoscete? Ascoltate qua:
e anche qua!
Non ci sono dubbi sul fatto che un DX7 sappia fare degli ottimi slap bass, ma Korg M1 ne aveva uno assolutamente fantastico, che entrò dritto dritto nel tema di Seinfeld, assieme al Solo Sax, un altro Program che era quanto di meglio si potesse suonare all'epoca:
Volete altri esempi di quanto siano stati importanti i suoni di M1? Ci sono diverse playlist su Spotify dedicate ai brani che hanno usato un M1. Un breve ascolto e i più giovani capiranno il valore dei suoni di M1 anche oggi, a distanza di oltre 30 anni, mentre i ricordi si risveglieranno per chi c'era negli anni '90.
La storia di M1 non si è esaurita certo con la Dance e l’House degli anni novanta. La sua importanza in termini musicale è tale che viene regolarmente tirato fuori per nuove produzioni, come quella di Beyoncé con Break My Soul che è un inno all’organo e al piano di M1. Siamo nel 2022, 33 anni dopo l’uscita di M1: la prova che i suoni di M1 sono diventati bagaglio musicale indispensabile per qualsiasi Producer, decretandone lo stato di leggenda.
Non possiamo non citare la patch Universe e quella Choir, che da sole hanno caratterizzato interi brani. Per esempio, Korg M1 è la colonna portante dell'intero album Schubert Dip, con Children a raccontarci come suonano Universe e Choir nell'introduzione.
Le espansioni
Il grande successo di M1 aprì il mercato a nuove ROM Card, prodotte anche dalla stessa Korg di cui una per i campioni e una per i dati, tra le quali una delle più ricercate tra le sedici prodotte è quella Organ (MSC-09 MPC-09), perché ha un Hammond distorto eccellente.
Korg sviluppò, assieme alla serie T, anche l’espansione EX per M1 e per il modulo a due unità M1R che forniva lo stesso contenuto di campioni della serie T. C'è da dire che l'espansione e la wavetable della serie T aggiungevano campioni acustici e forme d'onda che non scalfivano affatto la qualità dei suoni di M1. Poco dopo il lancio, uscirono sul mercato nuove espansioni di terze parti come l’unità esterna Frontal Lobe per aumentare la memoria interna o la scheda di espansione di 4 MB di campioni InVision M1 Plus One, che diede origine all’M1 Plus.
Più recentemente, la tedesca WaveRex ha creato una card USB da inserire in M1 e Wavestation per leggere campioni caricati ed elaborati via computer su Windows o MacOS. Ne vale la pena? Noi diciamo di sì, perché il successo di M1 non è dovuto solo alla qualità dei suoi campioni, ma anche dai convertitori dell’epoca e dagli effetti. Da anni la stessa Korg ha in catalogo il plug-in virtuale di Korg M1 a circa 100 dollari, ma noi rimaniamo fedeli all’originale per il sound classico e l'espressività su tastiera.
Acquistare un M1
Ci si potrebbe chiedere perché acquistare oggi un M1 quando c'è l'intera library su Korg Legacy Collection. La ragione principale è l'accoppiamento tra meccanica di tastiera e generatore timbrico. Suonare su M1 è diverso che farlo con un key controller e un software: invariabilmente il controllo dell'espressività del timbro con la velocity è sempre migliore su M1 rispetto a un sistema ibrido. I primi ad accorgersi di questa sottile differenza, ma importante, furono gli studi con l'expander M1R, che non sempre dava la stessa soddisfazione quando lo si suonava su altre tastiere MIDI. Se siete puri tastieristi, un M1 è ancora una ottima scelta se cercate quei timbri, a patto di trovare un M1 con una buona meccanica. La costruzione di M1, infatti, è esteticamente favolosa ma cede parecchio negli anni: è impossibile trovare un display con il frame in plastica nero che non sia graffiato. Non facile trovarne un esemplare senza alcun graffio sulla vernice: il pannello è in metallo e decisamente resistente, ma la vernice fa fatica a resistere all'uso. Insomma, non è facile scovare un M1 in eccellente stato, a differenza di un Roland D50 o un Yamaha DX II. Va molto meglio con la serie T, che da sempre era vista come l'alternativa potenziata di M1 per gli studi. Se optate per la serie T, andate dritto alle versioni EX, che includevano anche un MB di RAM per caricare i campioni. La riparazione di un M1 non pone particolari problemi: si trovano le schede da vecchi M1 cannibalizzati e sono reperibili anche i pulsanti tondi e gli interruttori.
Conclusioni
Chiunque fosse un tastierista nel 1988 non può non aver esultato all’uscita di M1, sbavando davanti a un Korg T1 alla CD Videosuono di Milano, dove era in esposizione nel negozio di dischi in una saletta a parte, chiusa da due porte a vetri, su un supporto che sembrava un trono. L’M1 e le sue successive incarnazioni della serie T hanno rappresentato un salto di qualità incredibile per quegli anni, costringendo gli altri produttori, in primis Roland, Yamaha ed Ensoniq a dover aggiornare velocemente i propri cataloghi e convertirsi all'uso di campioni, con alterne fortune.
Con M1, Korg riuscì a entrare di diritto tra i maggiori produttori di tastiere, guadagnando fama e stima, e M1 rimarrà sempre nell’olimpo dei sintetizzatori per aver saputo declinare al meglio dell’epoca il concetto di Workstation, dove l’insieme degli elementi era senza dubbio superiore alla sola somma aritmetica. Ha rappresentato un cambio epocale intercettando alla perfezione le necessità dei tastieristi, con timbri impressionanti, e ora classici, e funzioni inedite in una tastiera.
Noi teniamo ben stretto un T3EX e un M1REX, accanto a una Wavestation A/D che, assieme a M1, ci imbambolarono al primo ascolto e furono i nostri strumenti per alcuni anni suonati con grandissima soddisfazione. Se c’eravate nel 1988, sapete di cosa stiamo parlando.
Korg M1 è l’ennesimo esempio di quanto la qualità dei suoni determini il successo di un prodotto e come un team di musicisti professionisti abbia dato valore a un progetto che, anche oggi, ha il suo spazio, guadagnando lo status di classico. Non è sufficiente avere la migliore tecnica di sintesi se poi i suoni che ne derivano non sono musicali.
Trentaquattro anni di vita e l’M1 è fresco come il primo giorno di uscita!
Korg M1 visto dal tecnico: Giorgio Marinangeli
Armato di cacciavite e schemi a blocchi, Giorgio ha aperto un M1 andando ad analizzarne ogni singolo componente. Ecco un estratto del suo intervento:
Come si vede dal grafico precedente la sintesi Ai è divisa in 4 differenti sezioni:
La Sound Data Section nella quale viene generato il suono attingendo dalla Wavetable interna da 16 bit.
La sezione VDF (Variable Digital Filter) nella quale lo spettro del suono viene controllato e
modellato dinamicamente.
La sezione VDA (Variable Digital, Amplifier) nella quale il suono viene controllato in ampiezza in modo simile a quanto avviene nei sintetizzatori convenzionali, ed infine la sezione di effetti, posta a valle della catena di sintesi con la quale il suono viene arricchito e processato tramite gli algoritmi messi a appunto dal team Korg.
Come se tutto questo non fosse sufficiente, la struttura interna dell' M1 disponeva di "due catene
distinte" di sintesi combinabili tra loro al fine di generare suoni ricchi ed innovativi.
CLICCA QUI per leggere l'articolo di Giorgio Marinangeli
Korg M1 La demo di Marcello Colò!
Come di consueto, Marcello ci propone una serie di assaggi sonori del sintetizzatore protagonista della rubrica, ma con Korg M1 si è spinto oltre, realizzando song con più parti interne combinate, utilizzando anche il sequencer onboard. Una demo da non perdere: buona visione!