Assemblare e usare un synth modulare è un gioco da ragazzi o richiede conoscenze approfondite?
Ce lo siamo chiesti più volte e, parlando con addetti del settore, sembra che il mondo modulare sia visto come qualcosa di iper professionale, difficile da raggiungere a chi non è un professionista.
Noi crediamo che non sia così.
Synth modulare
Prende vita questa nuova serie che nasce dal basso, che più basso non si può: d’accordo con i ragazzi di Milk Audio di Roma, che è un punto di riferimento assoluto per il mondo modulare italiano e che non smetteremo di ringraziare per averci affiancato in questo progetto, abbiamo escogitato un esperimento. Abbiamo dato in mano un modulare a un ragazzo di 22 anni, appassionatissimo di sintesi e produzione musicale, che però lavora in cuffia, con piccoli monitor e soprattutto solo su computer.
Come molti suoi coetanei futuri producer, ha uno strumento virtuale che imita un modulare, ma non ha mai messo le mani sopra a un vero modulare. Gli abbiamo dato l’occorrente e gli abbiamo chiesto di scrivere, passo dopo passo, le sue perplessità sull’uso, le difficoltà che ha incontrato e come le ha risolte. L'idea è avere un diario che guidi passo dopo passo chi comincia, condividendo le perplessità e le soluzioni che sono sì facili, per i più esperti, ma mai scontate per chi comincia. Oggi leggete la prima puntata!
Il primo incontro
Lo volevo fare da tempo, ma ho sempre avuto troppa paura. Avrei dovuto spendere soldi, sbagliando magari i moduli e buttando i soldi fuori dalla finestra, vergognandomi per l’errore. Dovrei avere tempo per studiare, ma sono troppo preso dai tasti bianchi e neri. Poi parlo con chi ha un synth modulare in casa e sono inondato di passione, dedizione e curiosità da chi usa un modulare in studio. La paura di partire è più forte di me: so quali sono le tecniche di sintesi, conosco a memoria il pannello di un Minimoog e uso anche i modulari virtuali sulla DAW. Un conto è il software, un conto è l’hardware, mi dicono tutti.
Un giorno mi chiama Luca Pilla e mi dice: “Senti questa. Tu usi solo software e non hai mai messo le mani su un synth modulare, giusto?”. Beh, non ci vuole molto a sapere che è così… E lui mi dice: “Ti faccio una proposta: ti forniamo un synth modulare con tanto di rack, e tu scrivi passo a passo cosa scopri, dove trovi difficoltà e come la risolvi. Non sei senza rete di salvataggio: puoi sempre contare sui ragazzi di Milk Audio di Roma con cui mi sono messo d’accordo per questa serie. Che ne pensi?”
Oddio, un sogno a occhi aperti: partire da zero senza spendere un soldo e iniziare a esplorare un synth modulare, cercando di capire come e cosa fuori. Vuoi che abbia detto no?
Tempo due settimane e mi arriva il synth modulare (si fa per dire, perché è in prestito). Non so cosa abbiano scelto per me, ma intanto apro le scatole e le scatolette.
Il rack
Per il rack è stato scelto Arturia RackBrute 3U: arriva in una scatola con maniglia. Lo tiro fuori ed è bellissimo da vedere così com’è: fianchetti in legno, con il suo alimentatore integrato e 20 connettori per gli slot. Il suo colore grigio gli dona un’aurea professionale. Scopro che ci sono due leve di plastica ai lati e nella confezione trovo viti con stella di plastica sulla testa, un tubo rivestito e i supporti per montarlo sollevato dal piano. L’unico piccolo foglio all’interno spiega come montare il tutto con alcune immagini. L’alimentatore esterno a 15 Volt si connette sul panello frontale, dove tre led indicano la presenza di alimentazione a +/-12 Volt e a +5 Volt. Un piccolo interruttore in alto, con un certo gioco al suo interno, serve per accendere. Nient’altro.
Fino a qui è stato facile, il bello deve ancora venire. In una scatola a parte trovo otto piccole scatolette, alcune anonime e altri più curate, che contengono i moduli. Panico: che cosa sono e a cosa servono? Non mi hanno detto cosa hanno in mente con questo modulare. Mi è stato detto che era un sistema di base su cui iniziare. Prevedo serate da passare su Internet per capire cosa sono e come usarli. Forse le mie nozioni di sintesi mi aiuteranno?
La lista dei moduli
Ed ecco quello che hanno voluto che io avessi per questo mio viaggio modulare. Li ho messi in ordine per quel che ho compreso senza andare a cercare info.
Doepfer A-190-4: ci vuole un attimo a capire che sia l’interfaccia MIDI che invia i dati da convertire in Gate CV. C’è la connessione USB, un ingresso MIDI e un MIDI Thru: sono contento, non dovrò scervellarmi per prendere un controller CV Gate. Ci attacco la mia Roland Fantom 06 come controller e sono a posto.
Plaits Macro-Oscillator: questa volta la confezione regala soddisfazioni. Piccolo manualetto di istruzione a colori, un gadget incluso (una specie di campanella di legno con filo verde attaccato alla pallina di legno interno), le solite due viti e un adesivo. Mutable Instruments, il produttore, ha fatto un ottimo lavoro rispetto alla severità dei Doepfer. Se si chiama Macro-Oscillator so già che sarà il mio VCO: cosa faccia di preciso non lo so, ma lo scoprirò presto. Non so neanche se sia analogico o digitale. Mi accontento di prenderlo in mano e poi vedrò cosa hanno voluto mandarmi.
Doepfer A-124 VCF5: con i suoi potenziometri gialli e quella bella scritta WASP Filter ho già capito cos’è. Lo conosco dal Behringer WASP Deluxe che ho incontrato nello studio di un mio amico e che mi aveva divertito molto. Sono curioso di vedere se il filtro Doepfer suonerà come il Behringer. In più vedo che ha due uscite chiamate BP Out e LP/HP Out con controllo di mix: dovrò indagare.
Instruo Céis: sembra quasi un gioiellino degli anni '40. Nero con serigrafie di color oro, quattro cursori sulla cui sommità c’è un led (sarà come gli slider di Behringer 2600?). Leggo l’unico documento dentro la scatola: una piccola carta da gioco dove trovo le parole ADSR. Ok, è l’inviluppo allora. Bene. Fino adesso non c’è niente che mi preoccupi circa le funzionalità.
Intellijel Quad VCA: quattro ingressi, quattro uscite, altrettanti potenziometri con boost di cui non conosco la funzione. Non ho molti dubbi che sia il mio VCA e spero che abbia anche la somma, perché come al solito non c’è alcun manuale. Qualcuno che legge magari sta ridendo, ma per me è la prima volta che lo prendo in mano. Anche questo è da indagare.
XAOC Batumi: facile, c’è scritto sopra. Quattro LFO, ognuno con il proprio slider per la frequenza e una serie di uscite e ingressi. Ci sono sigle che non capisco, ma c’è un semplice libretto di istruzioni che mi porterò, assieme agli altri, da leggere prima di dormire. Oh, anche questi slider hanno un led in test: effetto albero di Natale garantito. E più lucine ci sono, più mi piace!
Beads Texture Synthesizer: costruito da Mutable Instruments, lo tiro fuori dalla confezione. Il gadget è diverso! Leggo le prime due righe del libretto d’istruzione e mi preoccupo non poco: è un processore audio granulare. Lo guardo attentamente e so che mi darà dei grattacapi non da poco: caspico le uscite L-R ma gli altri parametri non li conosco, men che meno i simboli grafici sui controlli. Il bello del modulare è anche questo: ognuno ci può mettere il processore che vuole e, così, non ci sarà mai un modulare o una patch uguale all’altra. Sono un po’ pensieroso anche per la gestione delle uscite. Sto già fantasticando di andare in parallelo alle uscite del Quad VCA. Meglio che mi dia una calmata…
Noise Engineer Desmodus Versio: anche questo è del tutto misterioso per me. Dentro c’è un semplice biglietto da visita che invita a provare differenti firmware. C’è un parametro Size, per cui posso pensare che sia un riverbero o qualcosa di simile. Mi sa che dovrò proprio andare sul sito a capire cosa sia…
L’ultima scatola da aprire comprende i cavi, che mi sono stati forniti in colori e misure diverse, compreso un paio di cavi che da mini-jack vanno a jack standard per collegare il modulare all’interfaccia audio.
Ho passato un paio di ore a studiarmi i moduli e il rack. Ho le viti per ancorarli al rack e sono pronto per decidere l'ordine di inserimento. Non vedo l'ora di accendere la bestia modulare!
Si ringrazia Milk Audio Store per la disponibilità dei moduli