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Yamaha DX7: al posto giusto nel momento giusto - Synth Legend


yamaha dx7Yamaha DX 7, il sintetizzatore in FM più famoso della storia, compie 40 anni e ha segnato il sound degli anni ottanta

 

Prima puntata di "Synth Legend!", una rubrica dedicata ai sintetizzatori digitali leggendari, quelli che hanno lasciato un segno nella musica e in tanti appassionati. Per inaugurare questa nuova rubrica abbiamo scelto un best seller qual è Yamaha DX7, un sintetizzatore che segnò una vera e propria svolta, sia in termini timbrici che per l'interfaccia assolutamente originale per l'epoca.

Yamaha dx7 opinioni storia tecniche di sintesi modulazione di frequenza luca pilla smstrumentimusicali

Gli anni ottanta e il fermento tecnologico

Chi ha vissuto quegli anni conosce bene il fermento tecnologico che stava diventando universale grazie ai nuovi microcontroller, alle memorie ROM e RAM e all’avanzamento digitale in genere. Yamaha DX7 arriva da questo percorso e nulla sarà più come prima.

La disponibilità di microcontroller Motorola e Hitachi, e CPU basso costo, tra cui il famigerato Zilog Z80A progettato dall’italiano Federico Faggin, il cui ingegno ha permesso di produrre il primo Intel 8080, fu il primo passo che permise ai sintetizzatori monofonici di passare alla reale polifonia. E infatti DX7 impiega una variante del Motorola 6800 prodotta da Hitachi (63X03) con clock 2 MHz.

A intuirne le potenzialità fu Dave Smith che mise sotto controllo digitale i circuiti analogici delle cinque voci di Sequential Circuits Prophet-5. Appena più tardi troviamo i polifonici Oberheim OB-XA e OB-8, Roland Jupiter-8, Moog Memorymoog e Rhodes Chroma, per citare i nomi più noti, tutti basati sullo stesso concetto di controllo digitale e generazione analogica. Il mondo dei synth sembra quindi destinato a proseguire su questa strada, almeno stando alle linee di produzione dell’epoca.

Le università e la sintesi

Ciò che non si vede, è il lavoro di tante università per lo sviluppo di sintesi esclusivamente digitali. E’ tradizione americana brevettare le scoperte e affidarli ad appositi uffici all'interno dell'università che si incaricano di contattare i potenziali clienti per trattare i diritti. A Stanford viene registrato il brevetto per la tecnica di sintesi in modulazione di frequenza sviluppata da John Chowning e programmata sul programma MUSIC V

 

 

L’ufficio brevetti dell’università comincia a lavorare, ma non incontra i favori delle aziende americane. Probabilmente la mancanza di conoscenze necessarie a un progetto digitale non si sposta con l'idea dell'FM e non è nelle corde dei produttori interpellati. Non che l’FM fosse sconosciuta ai tempi dei modulari: il problema risiedeva nella gestione dell’intonazione degli oscillatori. Minime variazioni di intonazione e di fase causavano alterazioni significative al contenuto armonico, stravolgendone il timbro su note differenti. Inoltre era necessario mantenere fisso il rapporto tra oscillatore modulante e portante lungo le note, cosa non del tutto scontata.

La ricerca e sviluppo di Yamaha per il DX7

E qui arriva Yamaha, che già a metà degli anni settanta comincia a lavorare con Chowning per implementare la logica degli algoritmi FM, firmando un accordo di licenza esclusiva con Standford nel 1973 e depositando un primo brevetto il 2 maggio del 1975 il cui inventore rimane Chowning stesso. Nel 1974 Yamaha riesce a produrre il primo prototipo di scheda voce in FM, ma la quantità di semiconduttori necessari occupa troppo spazio. 

Inizialmente il progetto è legato alla produzione di suoni usando diverse tecnologie di sintesi in digitale (modulazione di fase, modulazione di ampiezza, sintesi additiva e modulazione di frequenza sul prototipo PAMS) ma la quantità di componenti e di parametri è improponibile al di fuori di un reparto ricerca e sviluppo. Yamaha prende quindi un paio di decisioni che cambieranno il corso della storia del sintetizzatore nei dieci anni successivi al lancio del DX7: progetta un synth in FM semplificato e studia una nuova interfaccia utente, mai vista prima.

 

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Il prototipo Yamaha di una scheda voci FM 

 

Sperimenta con successo l'FM sui primi GS1 e GS2 presettati, la cui programmazione era eseguita direttamente da Yamaha. Non è sufficiente, ma la progettazione e realizzazione di chip in quel periodo è in piena evoluzione, diventando patrimonio anche di Yamaha, che cominciò a disegnare il proprio chip per l’FM (YM28190), utilizzando però la modulazione di fase per efficientare la velocità, basandosi su una tabella in ROM dove sono riportati i valori logaritmici di solo un quarto di un'onda sinusoidale che, per motivi matematici, diede origine anche al suono ricco di armoniche ma granuloso del DX7. Il lavoro di Yamaha supera di gran lunga l’idea iniziale di Chowning. Diversi compromessi devono essere presi e, contemporaneamente, vanno sviluppate nuove funzioni di programmazione per tenere sotto controllo il timbro.

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Il chip proprietario Yamaha, cuore della sintesi FM di DX7, da https://www.righto.com/2022/02/yamaha-dx7-chip-reverse-engineering_7.html?m=1

L’FM viene agevolata adottando i nomi di Carrier e Modulator per gli operatori, limitando il numero di algoritmi a 32, plasmando inviluppi con identici parametri, ma indipendenti, per Carrier e Modulator, definendo le curve dei segmenti degli inviluppi (il DX 7 utilizza un parametro Rate dipendente dal livello per il tempo) attraverso un chip proprietario in grado di garantire ben 96 dB di range dinamico, inventando e brevettando l'idea del feedback dell’operatore per avvicinarsi alla forma d'onda a dente di sega, e introducendo il key scaling per gestire il contenuto armonico lungo le ottave (la famigerata iconica farfalla serigrafata sul pannello). Diverse soluzioni sono prese per semplificare i calcoli, come l'uso di una tabella del logaritmo della sinusoide. Una serie di decisioni non banali e molto ingegnose che cambiano il destino del primo sintetizzatore in FM.

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L'invenzione del feedback e le forme d'onda secondo l'indice dello stesso, dal brevetto depositato da Yamaha nel 1979

Basterebbe già questo per comprendere lo sforzo progettuale di Yamaha ma l’azienda nipponica non si fermò qua: era tempo di rivedere il concetto di interfaccia utente che, fino allora, prevedeva slider, pulsanti e manopole. Lo stesso concetto di FM mal si addice a una interfaccia con controlli fisici per molti parametri. Non ci sarebbe stato sufficiente spazio e il costo di produzione sarebbe stato troppo alto. L’interfaccia va ridisegnata completamente. 

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Siamo alla fine degli anni settanta: il mouse non esiste, i grandi display non esistono, l’idea di creare degli encoder digitali è lungi dall’essere realizzabile. Inoltre stiamo parlando di un sintetizzatore completamente digitale, che richiede l’inserimento di valori e la visualizzazione dei parametri. Non si può certo pensare di collegare un monitor video alla tastiera (concetto in seguito sviluppato da Roland per i suoi campionatori serie S), perché nessuno lo ha mai visto fare. 

E poi c’è il prezzo finale, che deve essere allettante per recuperare l’investimento e vendere decine di migliaia di unità. Non ci sono sintetizzatori programmabili digitali in commercio, se non per alcuni esempi molto ridotti, e tutto deve essere inventato. Yamaha decide di inserire un display LCD a due righe per 16 caratteri, che sarà di fatto l’interfaccia utente tra i parametri e i musicisti. Il richiamo e il controllo dei singoli parametri, a cui si accede con i pulsanti sul pannello di controllo, consente di eliminare controller fisici e assicurare la precisione necessaria al digitale.

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E’ la fine dei pannelli ricchi di controlli fisici dei synth analogici per molti anni a venire. Il successo mondiale del primo DX7 è tale da costringere tutti gli altri produttori ad adottare lo stesso stile di programmazione per i synth successivi. Ciò che però fa la differenza è il workflow sul DX7, che ha una logica molto chiara per chi si impegna a comprendere come funziona, rispetto a un sintetizzatore analogico a controllo digitale dove l’inserimento dei parametri via display è tedioso e toglie l’espressività in esecuzioni. L'espressività di un synth in FM non arriva dalla modifica dei parametri in tempo reale, ma dall'esecuzione sulla tastiera e dai controller, tanto da inventare per l'occasione il primo Breath Controller BC-1. Se non avete mai usato un Breath Controller, vi siete persi qualcosa di potente in termini di espressività!

La sintesi FM e la sottrattiva sono due motori molto diversi che vanno impiantati su carrozzerie differenti, per le loro peculiarità. Ci vorranno anni per comprendere questo concetto, fino ai giorni nostri dove convivono tranquillamente potenti synth digitali con pochi controlli o polifonici e monofonici analogici con pannelli di controllo molto estesi. E, per dare il colpo di grazia, Yamaha utilizzerà la sua migliore meccanica di tastiera FS, riservata agli organi Electone, sensibile alla dinamica (con il limite fisico del valore 100 ricevuto dalla tastiera, poi corretto su DX7 II).

Clicca QUI se vuoi dare un’occhiata alla brochure dello Yamaha DX7/DX9 e del controller KX1.

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Lo Yamaha DX9 a quattro operatori, in una brochure dell'epoca

 

Il vantaggio del digitale: le memorie e il MIDI

Sebbene fosse ormai un concetto acquisito sui sintetizzatori polifonici più importanti e dal costo proibitivo, le memorie per le patch diventano finalmente utilizzabili appieno grazie al display a due righe del DX7 e alle sue 32 locazioni di memoria, per mostrare il nome (chi si ricorda cosa c’è al banco 3 memoria 3 di un Prophet-5?), allo slot per memory cartridges da 32 patch (chiamate Voices) e l’interfaccia MIDI per importare ed esportare le singole patch attraverso il computer. 

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E’ l’alba di una nuova area nel settore musicale che esploderà negli anni successivi: nascono editor software, aziende terze che producono patch da vendere e corsi o libri per la programmazione. Il mondo dei tastieristi rimane quasi scioccato dalla possibilità di avere sempre lo stesso suono su qualsiasi DX7. Oggi è un concetto scontato, ma al tempo dei synth analogici era quasi un dramma avere lo stesso suono, soprattutto sul palco.

E vogliamo parlare dell’interfaccia MIDI? Grazie al DX7, il protocollo MIDI divenne indispensabile e universale (sebbene limitato come implementazione sul DX7), dimostrando quanto fosse facile e creativo creare catene di synth MIDI sia in produzione musicale che sul palco. 

Sono gli anni della frenesia della musica elettronica composta su computer, sequencer ed expander: il musicista aveva realmente l’impressione che non ci fossero più limiti riempiendo rack di sintetizzatori e risparmiando spazio. Nacque il primo expander TX-7 e il più forzuto TX 816 che in un rack (pesante) comprendeva ben 8 moduli separati di DX7.

1983, il lancio del DX7

Chi ha vissuto l’anno del lancio del DX7 ed era minimamente consapevole dello stato dei sintetizzatori analogici in quel momento, fu colto da una tempesta musicale perfetta: nuovi suoni mai sentiti prima, una costruzione impeccabile, un design futuristico molto anni ottanta, con i pulsanti a membrana verdi che richiamavano quanto già realizzato un paio di anni prima con Rhodes Chroma (che ha un pannello per interfaccia utente simile al DX7), la possibilità di controllare il suono con il breath controller BC-1 e l’interfaccia MIDI. Non c’era un singolo elemento del DX7 che non fosse innovativo e mai visto prima su un’unica tastiera. Non dimenticheremo mai la prima volta che usammo il primo Yamaha DX7 con Breath Controller: fu un’epifania!

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Per chi scrive, il DX7 IIFD rimane ancora oggi un synth dal design fantastico con un un motore timbrico in FM imperdibile e una meccanica di tastiera eccellente

Il DX7 fu immediatamente adottato dalla comunità professionale, ricercatissimo dai tastieristi amatoriali per quel prezzo (1.995 dollari) che era accessibile nonostante l’incredibile potenza e il design. Tutti potevano avere gli stessi suoni professionali. Si sprecano le storie da mercato nero per entrarne in possesso, come anche il guadagno di Yamaha, di Stanford e dei negozianti di tutto il mondo (alcuni si fecero letteralmente la casa grazie alla sola vendita di DX7). Il DX7 ha rappresentato un successo mondiale, il sintetizzatore al posto giusto e al momento giusto. Ne furono vendute circa 200.000 unità prima di passare alla versione successiva, lo Yamaha DX7 II con uscite stereo e convertitori migliorati, che dal punto di vista del design secondo noi è ancora migliore e, anche oggi, fa la sua porca figura!

La musica e il DX7

Dal 1983 cambiò definitivamente il corso della storia della musica pop ed elettronica, ringraziando il DX7. La disponibilità di timbri mai sentiti prima, tra bassi slap, electric piano che diventò il marchio di fabbrica dell’FM, brass, flauti, timbri percussivi inarrivabili in analogico, armoniche e chitarre, solo per citare i più noti, diede nuova linfa ai musicisti per creare arrangiamenti e song dove il suono dello Yamaha DX7 era colonna portante

Immaginate quindi quanto un semplice fruitore di musica possa essere rimasto sorpreso da quei suoni. La necessità di usare uno Yamaha DX7 in studio di registrazione, che in quel momento viveva una fase di apparente onnipotenza grazie ai riverberi digitali, alle batterie elettroniche e ai campionatori, era imperiosa e definì un decennio di musica che, ancora oggi, ha una personalità unica. Non era solo una pratica legata ai preset presenti, ma anche di programmazione. Alcuni brani, come "Money For Nothing" dei Dire Straits, sono talmente caratterizzati da piccoli interventi del DX7 da rimanere delle perle. 

Ci sono anche varie playlist su Spotify o Soundcloud per farsi un’idea di cosa abbia rappresentato il DX7 per chi produceva musica in quegli anni.

Processare il suono di Yamaha DX7

Siamo agli albori del digitale: nessuno ancora pensa di inserire un DSP per realizzare riverberi digitali nelle tastiere (ci penserà Roland D-50 nel 1987 e ancor di più Korg con M1 nel 1988) e il nostro DX7 è nudo. Niente Chorus, Phaser o Delay. Dovremo aspettare il 1989 con il lancio di SY77 che includerà un primo DSP ricco che sarà poi sostituito con quello della serie SPX su SY99. 

Il primo DX7 aveva un problema: soffiava e non poco, per la qualità dei componenti digitali. In studio i risultati migliori si ottenevano comprimendo il suono e applicando un Eq, ma il rischio di aumentare il rumore di fondo era sempre presente. In quegli anni il Noise Gate era sempre acceso in studio. 

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Yamaha SY99, successore di SY77, era dotato di un eccellente DSP effetti ripreso dalla serie SPX. Consentiva inoltre il controllo della fase della forma d'onda

I suoni FM si prestano molto a essere compressi, soprattutto i bassi e i timbri percussivi, e quando passati attraverso i circuiti Neve, Focusrite o SSL acquistano subito una patina professionale. Il loro carattere percussivo e cangiante si sposa bene anche con delay e riverberi di ogni tipo. 

Il primo album del 1985 di Whitney Houston, prodotto da Narada Michael Walden, con il piano elettrico e i suoni elettrici di Yamaha DX7 non sarebbe stato memorabile senza il sound FM annegato nel riverbero AMS RMX16 e i Delay Lexicon PCM 41 e 42 (“Saving All My Love for You” e “All at Once” su tutti). 

Oggi che i suoni FM si usano anche gratis con il VST Dexed, le regole non sono cambiate, se non per la possibilità di processare i timbri con saturatori e plug-in di amplificatori virtuali: i suoni FM sono tra i migliori di sempre per emulare chitarre distorte quando si sanno imitare bene sulla tastiera e con la giusta espressività. Anche il Chorus è un effetto che ama il DX7, come pure Phaser e Flanger sui tappeti lunghi, dove con tempi molto bassi sugli inviluppi si ottenevano strani comportamenti del DX7. E se proprio volete avere sul vostro computer un vero DX7 virtuale, non c'è nulla di meglio di Plogue Chipsynth OPS7 che è una ricostruzione, bit per bit, di ogni singolo chip Yamaha e componente hardware del primo DX7 in reverse engineering, ma senza rumore!

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Il piccolo Yamaha ReFace DX è eccellente per iniziare a programmare in FM, cercate il test sul nostro sito!

Quarant’anni ben vissuti

Lo sforzo di Yamaha nel trasformare una sintesi nata su un programma per MUSIC V in uno vero sintetizzatore con tastiera è, secondo noi, poco riconosciuto rispetto ai progettisti americani che hanno sempre goduto di fama e gloria. Negli anni ottanta il risultato ottenuto da team di Yamaha era davvero strabiliante, rispetto a tutta la concorrenza. Se l’idea e la prima implementazione sono opera del genio di Chowning, è stata l’azienda nipponica a modellare la sintesi e renderla abbordabile da chiunque. 

La sintesi FM non è affatto facile da domare, anche se i principi sono comprensibili a tutti quanti, e non ha giovato l’interfaccia utente del primo Yamaha DX7, che però ha aperto il fronte dei programmatori terzi con un florido mercato. Oggi l’FM si trova in catalogo un po’ dovunque ed è facile da implementare con la potenza dei DSP odierni. A quel tempo era una sfida che ha richiesto quasi dieci anni di prototipi. Nel tempo, Yamaha ha continuato a migliorare lo schema dell’FM, fino al pinnacolo di SY99, FS1R e dei più recenti Montage/MODX. E’ cambiato il modo di programmarla: non più solo emulazioni di pianoforti elettrici e bassi, ma maggiore ricerca sul versante sintesi elettronica.

C’è ancora qualcosa da scoprire anche quando sono disponibili decine di migliaia di voice pronte da scaricare  o da suonare e programmare direttamente su Chrome. Ser volete farvi un giro seduti davanti al computer nelle patch e nella programmazione FM, non c'è nulla di meglio del sito Patches.FM dove la patch si può anche suonare sul momento.

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Probabilmente quasi tutto quanto è stato declinato in FM, almeno fino a quando non ci saranno maggiori modulazioni sui segmenti degli inviluppi, sulla scelta della fase iniziale della forma d'onda (come su SY99) di un Carrier o di un Modulator o sulla modulazione dell'indice di feedback con altre sorgenti. L’FM richiede assoluta delicatezza nella programmazione. Usare una dente di sega rispetto a una sinusoide non è così utile, mentre muoversi di pochi passi nell'indice di modulazione può produrre grandi risultati.

La certezza che abbiamo è che un momento come quello del lancio del DX7 sarà molto difficile da vivere in futuro perché, come per tutte le rivoluzioni degli anni ottanta, solo in quegli anni '80 menti lungimiranti hanno compreso la potenzialità della tecnologia digitale e l’hanno spinta su territori inediti, creando prodotti unici, iconici e rivoluzionari che sono il frutto dell’ingegno umano. 

Il nostro ringraziamento a Yamaha rimane immutato nel tempo per quel primo DX7 che ha cambiato per sempre la musica e anche la nostra vita accendendo una passione mai sopita! Gli anni '80 non sarebbero mai stati tali senza Yamaha DX7 e il suono dell'FM!

 

Yamaha dx7 history opinioni storia tecniche di sintesi modulazione di frequenza luca pilla smstrumentimusicali

Yamaha DX7 sul blog di Giorgio Marinangeli

L'amico Giorgio nel suo blog esamina nel dettaglio l'architettura dello Yamaha DX7, fornendo inoltre schemi, altri articoli e link utili per approfondire.
Ecco un estratto del suo articolo:

"Gli schemi del DX7 mostrano gli altri circuiti interni del sintetizzatore e le due CPU: un Hitachi
63B03 e un Hitachi 6805S che oltre a gestire la tastiera, i controlli dell'interfaccia utente, la
comunicazione MIDI, l'oscillatore a bassa frequenza, controllano la generazione sonora FM dello strumento. La Yamaha ovviamente brevettò l'invenzione e la tecnologia. Il brevetto 4554857 "Electronic musical instrument capable of varying a tone synthesis operation
algorithm" fornisce informazioni dettagliate sull'architettura interna del sintetizzatore DX7."

 

L'ARTICOLO COMPLETO

 

Yamaha DX7: il video di Marcello Colò!

Per questo video Marcello ha utilizzato uno Yamaha DX7 II-D: buona visione!

 

 

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