Era il 1986: il primo DX7 è ancora sui palchi di tutto il mondo e Yamaha sta per lanciare DX7 II. Nel frattempo le tastiere casalinghe stanno per fare un salto quantico grazie a PSR-6300 e alla sintesi FM. Nulla sarà più come prima!
La mia storia con Yamaha PSR-6300
Dopo anni di pianoforte, la musica classica mi sta stretta, molto stretta ed è emerso, grazie al MIDI, un nuovo mondo di intrattenitori nei locali, soprattutto piano bar, dove si vedono impilate due o tre tastiere e una batteria elettronica. Lo studio di registrazione è già entrato nelle vene, dopo aver messo le mani su un banco Soundcraft, un registratore Studer e un Yamaha DX7. Mi è chiaro che non occorre più un vero pianoforte per intrattenere il pubblico. Il richiamo per la musica pop e rock è fortissimo.
Nei piccoli live negli anni '80, non ci sono basi, MIDI File o player digitali. Tutto quanto è suonato dal vivo dal tastierista, che può essere anche cantante o accompagnare. Mettete insieme un chitarrista più esperto di arrangiamento e accordi, oltre che ottimo cantante, e l’idea di arrivare a un piccolo spettacolo un po’ più complesso di una semplice batteria, basso suonato con la mano sinistra e strings o pianoforte, si fa largo.
Mentre il sogno segreto è il classico DX7, che però è solo un synth e non sufficiente per un accompagnamento, Yamaha se ne esce con questa PSR-6300 che è esattamente quello che ci vuole in quel periodo. Una sezione completa di arranger, basata su buoni suoni di batteria (siamo nel 1986!), basso e accompagnamento, ben strutturata nei controlli di Fill In, Intro/Ending e Variation, costruita intorno a una serie di stili musicali che all’epoca erano più che sufficienti. E poi due sezioni combinabili per suonare con la mano destra in polifonia, con quel classico E Piano da DX7, e una di sezione monofonica. La tastiera a 61 tasti risponde alla velocity e sono presente anche gli effetti di Chorus, Duet e Trio (che ho usato sempre poco) per armonizzare la melodia in automatico.
Già così era un sogno, ma PSR-6300 permetteva anche di creare i propri style o registrare sul sequencer interno e salvare il tutto su una RAM Pack. L’amplificazione da 5 Watt, sui due speaker a lato protetti da una griglia verticale, sembrava poco ma sparava molto! E cosa dire delle soluzioni estetiche? PSR-6300 ha un pannello di controllo dove a ogni funzione è legato un pulsante, nessun menu nascosto o display su cui navigare. Il pannello si ripiega e va a sovrapporsi alla tastiera e, assieme a un altro elemento ripiegabile sotto la tastiera, funziona da guscio protettivo. Quando è chiusa, PSR-6300 è perfettamente protetta, grazie anche all’uso estensivo di metallo. Si può quindi infilare in auto e partire. Il successo di DX7 aveva permesso a Yamaha di avere i fondi per progettare e costruire qualcosa di importante. Da una parte il DX II, dall'altra questa PSR-6300.
Fu amore a prima vista! Era la soluzione perfetta per avere i suoni più in voga del momento, compresa la batteria elettronica.
In quegli anni ho usato la Yamaha PSR-6300 per migliaia di ore: da lì mi sono fatto le ossa sulla struttura degli style, sul loro funzionamento, sul riconoscimento degli accordi con la mano sinistra e sul bilanciamento del suono. Mentre i timbri principali sono un classico dell’FM, con un pianoforte acustico che non è certamente acustico ma aveva un senso, e gli archi che con il Chorus diventano un gran bel pad, quelli di batteria erano abbastanza potenti, sulla cassa e il rullante, per muovere i piccoli PA. Aveva però un difetto: non c’era modo di escludere l’amplificazione integrata se non inserendo un jack nell’uscita cuffia anteriore. Il jack era sempre con me dal vivo. Le due uscite audio erano su RCA. Una connessione per footswitch mi permetteva di assegnare le funzioni di Fill In, Start/Stop e Intro/Ending. Ovviamente era fisso su Fill In.
Parlando di style, ascoltando oggi una Yamaha PSR-6300 si rischia di rimanere delusi, ma all’epoca era una gran cosa. Uno dei vantaggi che scoprii solo in seguito, era legato all’essenzialità degli stessi: non erano particolarmente elaborati ed erano scarni sui movimenti di armonizzazione. Non c'erano mai risoluzioni armoniche o richiami ad arrangiamenti di brani famosi. Questo apparente difetto si rivelò invece vincente per creare i miei arrangiamenti. Potevo suonarci sopra un pianoforte, un organo o gli archi senza che ci fosse troppa confusione. Yamaha PSR-6300 lasciava ampio spazio a chi suonava.
Non ebbi affatto la stessa sensazione quando decisi di passare a Roland Pro-E (leggi il nostro speciale), sicuramente più potente come arranger ma con una minore flessibilità nell’usare gli style per adattarli a pezzi musicali diversi.
Inquadrare PSR-6300 è piuttosto semplice: Yamaha aveva in catalogo non solo i potenti synth FM a sei operatori, ma anche quelli a quattro operatori come il DX9 (1983) che includevano una serie di preset di piano, organo, synth, archi e basso. Accanto ai synth, aveva sviluppato anche le batterie elettroniche RX 15 e RX 11 (1984) e nel 1985 la RX 21, tutte basate su campioni. Già nel 1984 Yamaha aveva in produzione PSR-6100 che espanderà entro due anni nella PSR-6300.
Il primo TX81Z deve ancora essere annunciato: l’FM nel 1986 sembra ancora relegata a essere bitimbirca. Ed è qui che arriva PSR-6300, la prima tastiera arranger multitimbrica basata su due chipset FM a otto canali ciascuno e campioni per la batteria. PSR-6300 include infatti i due chip YM2414, chiamati comunemente OPZ, che vedremo solo più tardi nel TX81X/DX11: il primo è dedicato alle sezioni polifoniche Orchestra Lower e Upper, il secondo alla sezione Bass e Chord dell’arranger e alla sezione Solo.
Una potenza incredibile per l’epoca, infilata in un arranger: cinque parti multitimbriche indipendenti. PSR-6300 è di fatto un arranger che gira intorno alle possibilità del motore audio di un TX81Z/DX11. Una vera rivoluzione per l’epoca, nascosta in un arranger! Il chip per la batteria elettronica è un YM2154 con dodici campioni di batteria. E non finisce qui. Il chorus stereo è completamente analogico è basato su un MN3204, un BBD che viene a sua volta modulato da un BU3903 e inserito in un mixer a otto canali. Il chorus è un po’ rumoroso ma è stupendo!
Erano gli anni dei mixer Studiomaster Session Mix 8-2 e delle casse FBT HF 15 pesantissime, dei microfoni Electro Voice PL80 o Shure SM57, e dei primi Lexicon LXP-1 che aprivano la strada a piccoli PA con un suono che era potente e professionale. I viaggi di un giorno intero da Merula, con gli occhi lucidi sapendo che non sarebbero mai stati sufficienti i soldi in tasca.
Per alcuni anni (pochi a onor del vero), il piano bar rimase solo appannaggio di veri musicisti e tastieristi, quest’ultimi aiutati tantissimo dal protocollo MIDI che creava il miraggio di poter avere un’intera orchestra a propria disposizione. Ci volle poco per cominciare ad acquistare altre tastiere o synth da collegare, incrementando la qualità dei risultati. Stava infatti per arrivare Korg M1 (Leggi il nostro speciale)!
Quegli acquisti durarono giusto il tempo per registrare un paio di cassette da regalare a Natale ad amici e parenti, dopo ore di prove serali, che racchiudevano il repertorio dell’estate. Da quel 1986 al 1990, la mia PSR-6300 non perse un colpo, fino all’arrivo nel 1990 di Roland Pro-E, che andò a sostituirla. Vendetti la Yamaha PSR-6300 qualche anno dopo a un ragazzo che avrebbe dovuto cominciare a suonare, e non ne venni mai più a sapere. Per qualche strana storia del destino, mi fu restituita intatta con relativi manuali nel 2019! Era ancora come l’avevo lasciata: nonostante i tour, non aveva un graffio grazie alla vernice, e non era danneggiata. Un vero tuffo nel passato. Temevo non si sarebbe più accesa e invece eccola qua: tutti i led funzionano, tutti i pulsanti funzionano e suona esattamente come me la ricordavo. Solo lo slider del volume è un po’ ballerino ma funziona.
Per avere quasi quarant’anni, va dato onore a Yamaha di aver realizzato il primo arranger senza compromessi nei materiali, perché è praticamente nuova! In più è un oggetto di design industriale ancora oggi: quando è chiusa ti incuriosisce per le dimensioni e le forma. Quando è aperta sembra un pannello di controllo di una astronave degli anni ’80, con quei colori tipici dell’epoca. Ne parla, per esempio Wolf Design, di Melbourne, che analizza una serie di oggetti del passato di valore, con uno score di 7,9! E io sono completamente d’accordo, tanto che me la sono tenuta ben stretta, nonostante oggi abbia un valore di mercato basso, a patto di trovarne una!
Si sa... dopo anni la tastiera che si rimpiange è sempre la prima, quella su cui ci siamo fatti le ossa, ci siamo divertiti e che ci ha regalato successi ed emozioni. Mai vendere la prima tastiera! A me è andata bene, l'ho riavuta. Le strade del destino sono sempre nascoste alla vista.
CLICCA QUI per leggere il manuale di uso della Yamaha PSR-6300.
Dal blog di Renato Restagno
Il fascino di Yamaha PSR-6300 colpì quasi quaranta anni fa anche l'amico Renato, che nel suo blog - oltre a un'ampia panoramica delle funzionalità - ci racconta le sue emozioni quando vide per la prima volta questo incredibile strumento.
Ecco un estratto del suo articolo:
"In una dimensione parallela, nel regno musicale dove oggi risplende la memoria degli appassionati di tastiere arranger, c’è un posto speciale che ospita il ricordo di Yamaha PSR-6300, strumento dai contorni leggendari. Non era solo una tastiera, ma un portale magico per un'epoca dimenticata: gli anni '80, un periodo così raffinato e affascinante che sembrava uscito da una commedia musicale. PSR-6300, con i suoi pulsanti luminosi e il design che gridava in quegli anni "Guardatemi, sono il futuro!", sembrava una meraviglia della tecnologia."
LEGGI QUI l’articolo completo nel blog di Renato Restagno
Dal Blog di Giorgio Marinangeli
In questa puntata l'amico Giorgio nel suo blog non fornisce solo una panoramica della Yamaha PSR-6300 e - come di consueto - uno sguardo "sotto il cofano", ma anche una serie di informazioni utili per scoprire come i tecnici Yamaha programmavano i chip, oppure il link per scaricare un emulatore di quei suoni. Da non perdere!
Ecco un estratto del suo articolo:
"Lo strumento disponeva di 16 voci differenti per ogni sezione disponibili (lower, orchestra e solista) e di 32 ritmi con Drum e suoni campionati. Erano disponibili inoltre 8 locazioni di memoria per ospitare nuovi stili personalizzati: in pratica si poteva aggiornare il contenuto dello strumento il che rappresentava una grande novità per l’epoca. Tramite uno slot di memoria, si potevano inserire delle cartucce di memoria aggiuntive, con le quali estendere le funzionalità dello strumento per salvare o caricare nuovi styles e songs. Visto che le card erano decisamente costose, i dati potevano essere anche salvati e caricati su delle audio cassette tramite un registratore a nastro esterno (preistoria !!)."
LEGGI QUI l’articolo completo nel blog di Giorgio Marinangeli
Yamaha PSR-6300: il video di Marcello Colò!
Risentire in azione la Yamaha PSR-6300 può far sorridere oggi, perché le timbriche - come già descritto in precedenza - sono piuttosto datate, ma nell'ascolto concentratevi sull'ottima definizione del mix, da sempre, un elemento imprescindibile negli arranger della casa dei tre diapason. Ecco gli ottimi esempi sonori dell'amico Marcello. Buona visione!
Fateci sapere cosa ne pensate di Arranger Legacy: scrivete sui blog di Giorgio e Renato, oppure lasciate un commento qui sotto o sulla pagina Facebook di SM Strumenti Musicali. Avete una tastiera arranger del cuore da suggerire per una prossima puntata?
Scriveteci.
Buona musica!
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